miércoles, 26 de enero de 2011

Los grupos de interés – colegios de abogados - se apropian de la legislación (en Italia, por ahora)

Ahora que está en discusión la entrada en vigor de la Ley de Acceso, Michele Carpagnano me envía unas notas sobre la reforma italiana de la profesión de abogado y las consideraciones sobre el texto que ha publicado la Autoridad italiana de la Competencia. Con antecedentes como estos, las autoridades españolas harían bien en derogar la Ley de Acceso y dejar las cosas como están
Alcuni aspetti della riforma (di seguito sinteticamente illustrati):
Ø estensione delle attività esclusive dell’Avvocato
Il testo di riforma propone un ampliamento della riserva di esclusiva delle attività di competenza degli iscritti all’Albo (tali attività ricomprendono anche le procedure arbitrali rituali, le attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale).
L’AGCM ha rilevato che l’attribuzione di ambiti di esclusiva integra una grave restrizione della concorrenza in quanto: (i) costituisce una protezione legale dalla concorrenza; (ii) limita la libertà economica degli operatori; (iii) restringe le possibilità di scelta degli utenti.
Con riferimento al testo di riforma, l’AGCM ha osservato che, se per le attività tipiche della professione forense, ossia la rappresentanza, l’assistenza e la difesa in giudizio, può apparire legittima l’imposizione di un’esclusiva, “per tutte le altre attività, che il disegno di legge intende escludere dal regime di libertà di accesso, la giustificazione manca del tutto”.
Secondo AGCM, l’estensione degli ambiti di esclusiva non comporta un effettivo accrescimento della tutela degli assistiti, ma determina una restrizione della concorrenza tra professionisti, incidendo significativamente sui costi delle procedure amministrative, conciliative e stragiudiziali, con ripercussioni negative sui cittadini e sulle imprese.
Ø modalità di esercizio della professione tramite Associazioni / Società
Il testo di riforma prevede che la professione può essere esercitata anche in forma associativa o societaria, stabilendo, tuttavia, alcune limitazioni a tale forma di esercizio (e.g. divieto di società di capitali; regime della società semplice; previsione della responsabilità solidale ed illimitata per gli associati ed i soci nei confronti dei terzi; associazione esclusiva dell’avvocato; esclusione della natura di impresa commerciale; non assoggettabilità a procedure fallimentari / concorsuali).
Secondo l’AGCM, anche ai sensi del quadro normativo vigente, i professionisti devono essere liberi di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare attraverso società di persone e/o di capitali o associazioni e non vi sono ragioni per precludere l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali. Secondo l’AGCM, tali forme sono le “più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni” che consentono “ai professionisti italiani di poter rispondere adeguatamente alle sfide che sono chiamati ad affrontare nel contesto europeo”.
Ø disciplina delle tariffe
Il testo di riforma prevede la vincolatività ed inderogabilità dei minimi tariffari ed il divieto del patto di quota lite. La tariffa professionale è articolata in relazione al tipo di prestazione e al valore della pratica. I minimi tariffari sono sempre inderogabili, i massimi possono essere derogati con accordo scritto a pena di nullità.
Secondo l’AGCM, la disciplina proposta appare “inadeguata e non condivisibile” in quanto volta a introdurre una rigidità nel comportamento economico delle parti già superata con il Decreto Bersani.
Tale rigidità non risulta giustificata dal perseguimento di interessi generali, essendo piuttosto finalizzata a proteggere gli avvocati dalla concorrenza di prezzo.
Secondo i consolidati principi antitrust, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza (impediscono di adottare comportamenti economici indipendenti) e non garantiscono la qualità della prestazione.
L’AGCM ritiene che a protezione del cliente potrebbe trovare giustificazione il mantenimento soltanto delle tariffe massime, con riferimento a prestazioni aventi carattere seriale e di contenuto non particolarmente complesso.
L’Autorità ha osservato che il decoro, concetto di valore etico che può essere utilizzato quale principio generale dell’attività professionale, non può essere utilizzato come parametro economico di determinazione del compenso, in quanto potrebbe facilmente reintrodurre l’inderogabilità dei minimi tariffari: il compenso decoroso sarebbe, in conclusione, quello che rispetta la tariffa minima.
Il richiamo alla “tariffa”, quale parametro di riferimento al fine di determinare un “compenso ulteriore” da riconoscere all’avvocato, risulta in contrasto con i principi antitrust di libera determinazione del compenso, nonché con il citato Decreto Bersani, che ha abolito il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
Ø regime delle incompatibilità
Il testo di riforma amplia il novero delle incompatibilità dell’Avvocato, la cui professione diviene incompatibile con una serie di attività tra cui: (i) ogni altra attività di lavoro autonomo / subordinato (ii) l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale; (iii) la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale; (iv) la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa; (v) la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con effettivi poteri individuali di gestione. Sono previste alcune eccezioni specificate nell’art. 17 del DDL.
Secondo l’AGCM, affinché il regime delle incompatibilità sia coerente con le regole antitrust, esso deve risultare: (i) funzionale alla natura e alle caratteristiche dell'attività; (ii) necessario e proporzionato a salvaguardare l'autonomia dei soggetti che erogano le prestazioni; (iii) idoneo a tutelare l'integrità del professionista (iv) indispensabile per il corretto esercizio della professione.
Applicando tali criteri di valutazione alle ipotesi di incompatibilità di cui alla proposta di riforma, l’AGCM ha ritenuto non necessarie né proporzionate le incompatibilità a svolgere altre attività di lavoro autonomo o dipendente, anche part-time.
L’AGCM ha evidenziato che situazioni di conflitto di interessi, che dovessero eventualmente emergere nello svolgimento di diverse attività professionali, potrebbero essere risolte con la previsione di strumenti proporzionati, ricorrendo, ad esempio, alle regole di correttezza professionale e a conseguenti obblighi di astensione dallo svolgimento dell’attività in conflitto.
Ø Informazioni sull’esercizio della professione (la disciplina della pubblicità)
il DDL non utilizza la locuzione “pubblicità”, riferendosi, piuttosto, alle “informazioni sull’esercizio della professione”. Tali informazioni devono riguardare “il modo di esercizio della professione” e devono essere fornite “in maniera veritiera, non elogiativa, non ingannevole e non comparativa”.
I contenuti e le forme dell’informazione “devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza nonché nel rispetto dei princıpi del codice deontologico”. Al CNF è demandato il compito di determinare i criteri concernenti le modalità e gli strumenti dell’informazione e della comunicazione.
L’AGCM ha rilevato che l’utilizzo della locuzione “informazione” in luogo del termine “pubblicità” risulta fuorviante e limitativo, in quanto non esplicita con chiarezza la possibilità per il professionista di ricorrere allo strumento pubblicitario, ai fini della promozione della propria attività.
Secondo l’AGCM la disciplina proposta risulta restrittiva della concorrenza perché vieta ingiustificatamente il ricorso alla pubblicità comparativa, nonché l’utilizzo di toni elogiativi propri delle comunicazioni pubblicitarie, atteso che lo strumento pubblicitario rappresenta un’importante leva concorrenziale a disposizione del professionista.
Si noti che nel testo dell’Indagine Conoscitiva del 2009, l’AGCM aveva già rilevato che il potere di verifica sulla pubblicità attribuito agli ordini dalla legge Bersani (e non previsto nel testo dell’originario decreto legge) non trova alcuna giustificazione razionale nell’ambito dell’ordinamento giuridico, posto che il controllo della pubblicità è affidato per legge all’AGCM.
Ø disciplina delle specializzazioni
Il testo di riforma introduce la disciplina delle specializzazioni. Sono previsti requisiti soggettivi (i.e. anzianità di iscrizione all’albo) per poter partecipare ai corsi di alta formazione. E’previsto un sistema di esonero per gli iscritti all’albo con una determinata anzianità. Solo il CNF può attribuire il titolo di specialista a seguito del superamento di un esame da parte del candidato.
Con riferimento alla disciplina delle specializzazioni, l’AGCM ha individuato le seguenti criticità di natura concorrenziale:
· l’attribuzione al CNF dell’individuazione delle specializzazioni;
· la mancata previsione di metodi alternativi alle scuole per l’acquisizione del titolo di specialista.
L’Autorità auspica la previsione di un sistema aperto ed alternativo alle scuole per l’acquisizione del titolo valido per tutti i professionisti e tale per cui questi possano dimostrare la relativa specializzazione a prescindere dalla frequenza delle scuole.
Secondo l’AGCM, il sistema delle specializzazioni non dovrebbe essere lasciato alla disponibilità esclusiva del CNF.

Cinco reglas de un emprendedor

Having started Box.net in his college dorm room, CEO Aaron Levie has learned some valuable lessons. In this clip, Levie elaborates on five lessons: 1) Do something that was not possible three years ago, 2) Do something you are extremely passionate about, 3) Don't compromise, 4) If you feel comfortable, you're probably not doing it right, and 5) Don't write your obituary too early.
El primer consejo me parece sugerente: haz algo que no fuera posible hace tres años. Es un buen consejo porque si era posible hacerlo hace tres años, es probable que otro ya lo haya hecho (es como la historieta de economistas del billete de 100 euros tirado en el suelo: ¡no sea estúpido! es imposible que haya un billete de 100 euros tirado en la calle. En realidad, dados los incentivos y las posibilidades de cualquier viandante para hacerse con el billete podemos deducir que el tiempo que estará tirado en el suelo tenderá a cero). Aunque, como decía Piaget, la inteligencia está en dar soluciones nuevas a problemas viejos o ver las cosas y las relaciones entre las cosas de manera diferente al resto.

martes, 25 de enero de 2011

The Question is not whether “a more economic approach” is dead or alive. The Question is that it has already reached its limits

Until the European Commission started to fine big cartels some 10 years ago, it can be said that all the European Competition Law was just sand in the gears of the European economy. Who could honestly say that all the prohibitions issued by the European Commission regarding distribution or, in general, vertical agreements added anything to the welfare of European consumers and the functioning of the European market in a competitive way? This is not only my view:
for about a decade EEC antitrust policy almost exclusively consisted of a fight against vertical agreements in defense of the paramount integration objective[1].
The sad thing is that it did not help to build an integrated market. In fact, it probably disincentived national firms to go abroad for fearing of losing a comfortable position in its home market. But in the way, the whole competition law system (Ordnung) created under the ordoliberal model was for grabs.
This ordoliberal model can be resumed as follows: Art. 101.1 must be interpreted in a very restrictive way including primarily hard core cartels. Therefore, 101.3 must be interpreted also in a very restrictive way: only the cartels that fulfill this four requirements are to be awarded with an authorization
Only such a comprehension of art. 101.1 can be rational. How could a system of individual authorization by the European Commission be manageable if any agreement having potential effects on competition (understood as any limit on the autonomous design and implementation of a firm strategy in the market) had to be previously authorized by the Commission in order to be considered valid? German Ordoliberals were not so stupid.
But, market integration zealots entered the picture. And they wrongly believed that private barriers to trade are essentially comparable to public barriers. They forgot what was competition Law all about: to control market power. Grundig had no market power and, therefore, his contracts with Consten or, for that matter, with anyone else, should have been of no concern to the competition authorities.
It took the European Commission 40 years to understand it. In September 2005, Commissioner Kroes said she was “convinced that the exercise of market power must be assessed essentially on the basis of its effects in the market, although there are exceptions such as the per se illegality of horizontal price fixing[2]. Only in 2010 were finally suppressed any limits to the freedom of car manufacturers to contract with its distributors as it pleases to them. But the story is not over. Pharmaceutical Companies are not allowed to control the distribution of its products; a manufacturer is not allowed to protect his brick and mortar retailers against on-line distribution. Abuse of dominance cases and collusive agreements are not treated the same way although they should since both pose problems of market power (attained through the agreement in art. 101 cases); exchange of information is equated with infringement by object and with a cartel…
The European Commission cannot go a long way further because the Grundig jurisprudence is still alive. The Commission is, of course, guilty since Grundig and its progeny was a victory for the Commission and a defeat for the economic approach and the Advocate General. Obviously, the Commission could not anticipate that the European Court would never overrule its precedents.
We do not need a more economic approach. We have got very much (bad) economic reasoning in the Court Judgments and Commission Decisions. What we need is a better legal approach, which means an economically educated legal reasoning consistent with the fundamental principle of EU Law: freedom.

[1] Giocoli, Nicola, Competition vs. Property Rights: American Antitrust Law, the Freiburg School and the Early Years of European Competition Policy (May 1, 2007). Journal of Competition Law and Economics, 2009. Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=987788
[2] Apud, GERADIN, Is the Guidance Paper on the Commission’s Enforcement Priorities in Applying Article 102 TFEU to Abusive Exclusionary Conduct Useful?

Los costes de promocionar artistas

Uno de los argumentos para defender los derechos de propiedad intelectual tal como están configurados hoy es el de que los productores fonográficos no pueden promover a nuevos artistas si se reducen los ingresos por venta de discos o de descargas. En otras entradas hemos insistido en la necesidad de que bajen los precios – y mucho – de los productos que incorporan derechos de propiedad intelectual, simplemente, porque los costes de distribución han desaparecido. En cuanto a los costes de producción, The Economist decía en su número de enero, en relación con los videos musicales:
Production costs have fallen even faster than budgets. High definition cameras, editing software and computer processing power are all much cheaper. Jill Capone, head of marketing of Universal says she might spend a mere 3000-5000 dollars on a video to promote a new artist or 75000 for an established act . Gone are the days of the 600000 video she smiles
O sea, que si los precios de los productos finales debieran bajar proporcionalmente, deberíamos pagar un 1 euro por un CD por el que pagamos 20 o, como mucho 4 euros o, en otros términos, no más de 0,1 euro por canción (de a 20 euros el CD).

lunes, 24 de enero de 2011

Por qué seguimos por mal camino, a través de EL PAIS

Gastos duplicados (Aizpeolea). El periodista no se ha leído la Ley Audiovisual. Prohíbe a las CC.AA privatizar los canales autonómicos. O sea, por un lado, el Estado dice que tienen que ahorrar y, por otro, no les permite ahorrar. Una buena solución: obligar a las CC.AA que quieran prestar el servicio a través de una entidad pública a establecer un canon y que los ciudadanos digan si quieren pagar 50 euros por tener una tele autonómica (o dos). Cómo ahorrar más: Comisión Nacional del sistema Postal: no crearla y atribuir sus competencias a la CMT. Comisión Estatal de Medios Audiovisuales: no crearla – ni siquiera un consejo separado – y atribuir sus competencias a la CMT. La impresión es que el PSOE quiere colocar a unos cuantos más.
Recuenco: sobre las pensiones. Bien. De acuerdo. Pero se olvida del coste de gestión de una norma que estableciera una edad de jubilación diferenciada para cada profesión. Todas las profesiones acabarían siendo de las del tipo minero o encofrador. Solución: que el convenio colectivo de María prevea un complemento de la pensión cuando se jubile antes de los 67.
Viçenc Navarro: como casi siempre, al di là di tutta razionalità. ¡Claro que si trabajásemos más gente se podría sostener a más gente!. El problema no es el paro. El problema es por qué todos los trabajos que se crean los ocupan inmigrantes (bueno, el 70 %). El problema es el de los incentivos para trabajar. España, con tan buen clima, tan buenas familias, tan bajos sueldos en trabajos no cualificados y una cobertura tan generosa del desempleo (2 años si se ha trabajado durante 4) desincentiva el trabajo poco remunerado (entre trabajar en un puesto poco gratificante por 800/1000 euros al mes y no trabajar por 450 ¿qué elegiría Vd?)

sábado, 22 de enero de 2011

Cómo se controla Goldman y teoría de las organizaciones

Larry Ribstein, que escribe todavía más que yo, tiene una entrada sobre el sistema de remuneración en Goldman Sachs. A él le fascinan estas cosas porque tiene un libro sobre las “Uncorporations”. Goldman Sachs es una organización tan “rara” que el hecho de que sus directivos/socios de control/partners se hayan forrado en mucha mayor medida que sus accionistas habla, precisamente, en contra de la Justicia de la remuneración de los ejecutivos en las entidades financieras en general. Porque da la impresión de que Goldman ha diseñado su organización interna para asegurar a los inversores que compran acciones en la Bolsa que no serán expropiados (otra cosa es si los ejecutivos de las entidades financieras obtienen rentas a costa de los contribuyentes que sanean periódicamente el sector).
En el artículo del New York Times se narra que los que eran socios de la sociedad colectiva que era Goldman hasta que salió a Bolsa en 1999 decidieron continuar asociados y poner en común sus acciones en Goldman actuando como un sindicato de voto en una partnership o sociedad de personas. De manera que hoy, uno de los principales accionistas de Goldman es una partnership (no exactamente, porque los accionistas de Goldman son los socios de la partnership, no la partnership misma) donde están los antiguos partners. Algunos de ellos – muchos – son ejecutivos de la compañía y reciben acciones u opciones para adquirir acciones de Goldman que, lógicamente, se incluyen en la partnership. Obviamente, no cualquier accionista de Goldman puede participar en la partnership y, de los que lo son, los que dejan de ser ejecutivos van abandonándola .
The members are typically the firm’s most senior executives, … As a group, the partners have considerable sway at the company, … they vote as a block, giving them an unusual amount of influence on key decisions at the firm’s annual meetings, from board selection to shareholder proposals on pay. The group casts secret ballots ahead of time to decide their position…
To ensure they maintain a significant stake, the partnership typically asks members to hold on to 25 percent of the shares they receive after joining the group. The figure rises to 75 percent for senior officers.
The club has gotten even more selective as the company has grown. In 2000, Goldman announced 110 new partners, about 0.5 percent of employees. Last year, Goldman tapped 110 executives, just 0.33 percent of the staff.
Aunque parece que estamos ante un pacto parasocial de control, la tentación es la de calificar a Goldman como – casi – una sociedad comanditaria por acciones. O mejor una GmbH & Co KG. Es decir, una sociedad anónima con accionistas-administradores (que son considerados como socios colectivos en la regulación de la sociedad comanditaria por acciones) que tienen una capacidad de control de la compañía muy superior a la de los accionistas comanditarios.
Como organización, parece una buena idea. Alguien dirá que se llevan un montón de acciones nuevas de Goldman cada año como remuneración, pero el sistema descrito permite sacar a Bolsa a sociedades profesionales, es decir, a sociedades cuyo valor depende en gran medida de su capacidad para retener capital humano. Los inversores serán renuentes a comprar acciones de una compañía cuyo valor depende de que el equipo humano siga en la compañía. Este podría expropiar a los inversores sacando la compañía a Bolsa para, a continuación, vender sus acciones y montar una compañía rival captando a clientes y demás empleados. Incluyendo a los empleados de mayor talento y posición en la partnership que controla la compañía, Goldman ha “prometido” a los inversores que Goldman seguirá reteniendo a los mejores en el mundo de las finanzas. Porque los meterá en la “partnership”.
Tengo curiosidad por saber quién sugirió a los partners de Goldman, en 1999, mantener la partnership tras la salida a Bolsa.

Flattr

En este blog hemos escrito algunas entradas sobre la propiedad intelectual y la necesidad de inventar nuevos modelos de negocio. Hemos insistido en que los derechos de propiedad sobre cosas físicas son diferentes, en muchos sentidos, de los derechos de propiedad intelectual y hemos señalado que la configuración legal de los derechos de propiedad intelectual (duración, extensión…), sobre todo en lo que a la distribución de los mismos se refiere, es muy ineficiente porque es producto del éxito de grupos de interés muy bien organizados que han conseguido prevalecer sobre los intereses dispersos de los consumidores. También hemos señalado que las justificaciones “profundas” de la existencia de derechos de propiedad intelectual no justifican el sistema vigente de protección. A través de un blog de The Economist me entero de la existencia de Flattr.
 Flattr functions like a cross between the Facebook "like" button and a flat-rate PayPal, with a bit of StumbleUpon thrown in for good measure. Users pay a fixed monthly fee of at least €2 ($2.70) and no more than €100. In return they can click the Flattr button on any site that uses the service and install the button on their own websites. At the end of each month, the amount of money deposited by the user is divided by the number of clicks (minus a 10% fee for Flattr) and distributed among the site owners…
By letting users spread their monthly donation as thinly as they desire, Flattr discards the notion of per-item value. Clicking to make a donation on one item does not prevent you from clicking on others; it just shares the money out more widely. And by making payments optional, and allowing people to decide whether to click after reading a blog post or watching a video, users are not forced to guess whether their purchase will be worth the cost. Meanwhile, banking fees are minimised by accepting, for example, €24 at once instead of €2 per month.
Suena como una muy buena idea. Y sus inventores son los de Pirate Bay. Hay otras cosas parecidas. Una es Kachingle

Neurociencias y Derecho

A través de Kedrosky, una colección de documentos breves que exponen el estado actual de las neurociencias en un lenguaje comprensible para el lego. Reproduzco algunos párrafos que relacionan estos estudios con el Derecho aunque los documentos merecen ser leídos enteros (las conexiones neuronales no se completan hasta los 20 años de vida)
Delitos de peligro cuyas penas se agravan cuando se ha actualizado el daño para el bien jurídico. ¿Por qué si no hay diferencia en cuanto a la culpabilidad?
Punishment also seems to fulfil a second function (además de la disuasoria), in satisfying the human need for justice. Legal systems do not seem to only sanction the amplitude of deviance but also the severity of the  consequences of deviant behaviour. Crossing a red light without causing an accident may lead to a temporary loss of the driver’s license. However, if the consequence is a severe accident with casualties, the punishment tends to bemuch more severe, even though the deviant behaviour, the ‘subjective guilt’, was exactly the same.
Los que cometen delitos horrorosos tienen siempre una alteración cerebral
If a person has committed what is considered to be cold blooded murder in order to obtain some benefit and a tumour is discovered in his frontal lobe, extenuating conditions may be granted. One might argue that this tumour disrupted the pathways that link the storage site of moral values with the inhibitory centres that would normally prevent the fatal action. From a neurobiological point of view, however, one might argue that any person capable of committing such a crime must always have some abnormalities in the functional architecture of his or her brain, even if this abnormality is not detectable with current technologies. Genetic dispositions could have limited the storage capacity of the networks in which moral values and imperatives get stored, or they may have led to abnormally weak control mechanisms for the inhibition of actions. The same abnormalities may have been caused by developmental mishaps, insufficient installation of moral imperatives through education, or deficient inhibitory mechanisms due to lack of training during brain maturation. If all these features of the functional architecture are actually in the normal range, then one would have to assume temporary abnormalities in the system’s dynamics, for instance caused by metabolic disturbances, or by some highly unlikely but still possible deviations of the brain’s dynamics…Thus, members of our society who had the misfortune to possess a brain which ended up at the negative end of a normal distribution should have our empathy. But does this exempt our society from its duty to protect all its members and to define what is tolerable and what is not?
No, pero sí que debería hacernos cambiar las justificaciones para la imposición de las penas.

¿Es inconstitucional prohibir a las empresas financiar campañas publicitarias políticas en televisión?

Citizens United v. Federal Election Commission has been described as “one of the most important business decisions in a generation.” In Citizens United, the Supreme Court of the United States invalidated section 441(b) of the Federal Election Campaign Act of 1971 as unconstitutional. That section prohibited corporations (and unions) from financing “electioneering communications” (speech that expressly advocates the election or defeat of a candidate) within 30 days of a primary election. The five Justices in the majority rested their holding on the assertion that “Government may not suppress political speech on the basis of the speaker’s corporate identity.” In reaching this conclusion, the majority relied on a view of the corporation fundamentally as an “association of citizens.”

Principio de legalidad en materia sancionadora

La Sentencia del Tribunal Supremo (3ª-secc 3ª) de 14 de diciembre de 2010 contiene una amplia exposición de la aplicación del principio de legalidad – descripción en la norma legal de manera concreta de las infracciones – en materia sancionadora: no cabe entender, analógicamente, que si la Ley considera como infracción grave el incumplimiento por un operador de telecomunicaciones de obligaciones de “servicio público”, se incluyen en su supuesto de hecho también los incumplimientos de obligaciones de “carácter público.
Para los que trabajamos en Derecho de la Competencia, el principio de legalidad en materia sancionadora tiene especial interés dado que los artículos 1 y 2 de la Ley de Defensa de la Competencia contienen descripciones de infracciones en forma de cláusulas generales (mejor que de “conceptos jurídicos indeterminados” que es una expresión que no me ha gustado nunca por lo indeterminada, precisamente). Es decir, son normas cuyo supuesto de hecho no está delimitado y corresponde al que aplica la norma su “concretización” mediante la elaboración de grupos de casos. Estos artículos vienen a decir: “No celebrarás pactos restrictivos de la competencia” y “No abusarás de tu posición de dominio en el mercado”. Y las sanciones se determinan calificando como graves o muy graves la celebración de acuerdos restrictivos de la competencia (con competidores dice la LDC de una forma un tanto redundante) o el abuso de posición dominante, de modo que la descripción de las infracciones y sanciones no añade nada a la descripción de las prohibiciones contenida en los arts. 1 y 2.
Se entiende fácilmente que hay que hacer un notable esfuerzo (fundado en la idea de que el legislador de competencia tiene que recurrir a cláusulas generales para asegurar la eficacia de la prohibición de cárteles y la protección del bien jurídico que es la competencia en los mercados) para cohonestar el empleo de cláusulas generales con las exigencias del principio de legalidad. J.A. Lascuraín ("Sólo penas legales, precisas y previas: el derecho a la legalidad penal en la jurisprudencia constitucional", Pamplona (Aranzadi, Colección Repertorio del Tribunal Constitucional, núm. 23), 2009) ha escrito un excelente trabajo de repaso de la doctrina constitucional al respecto. Miren lo que dice el Tribunal Constitucional 57/2010, de 4 de octubre– y reproduce la sentencia que comentamos -
El primero, que es el de taxatividad, dirigido al legislador y al poder reglamentario, y «según el cual han de configurarse las Leyes sancionadoras, llevando a cabo el "máximo esfuerzo posible" ( STC 62/1982 ) para garantizar la seguridad jurídica, es decir, para que los ciudadanos puedan conocer de antemano el ámbito de lo prohibido y prever, así, las consecuencias de sus acciones» ( STC 151/1997, de 29 de septiembre , F. 3 ). En este contexto, hemos precisado que «constituye doctrina consolidada de este Tribunal la de que el principio de legalidad en materia sancionadora no veda el empleo de conceptos jurídicos indeterminados, aunque su compatibilidad con el art. 25.1 CE se subordina a la posibilidad de que su concreción sea razonablemente factible en virtud de criterios lógicos, técnicos o de experiencia, de tal forma que permitan prever, con suficiente seguridad, la naturaleza y las características esenciales de las conductas constitutivas de la infracción tipificada» ( STC 151/1997, de 29 de septiembre , F. 3 ).
En el caso, la infracción consistía en que el operador sancionado había cobrado indebidamente a los usuarios de su servicio de información. El Abogado del Estado sostuvo que la empresa había así infringido la obligación, comprendida en el servicio universal, de poner a disposición de los abonados un servicio de información a un precio asequible.
Los dos tribunales – la AN y el TS – concluyen que la Ley solo permite calificar como infracción de una obligación de servicio universal no tener a disposición de los usuarios el servicio de información, pero no las irregularidades en el precio cobrado por ese servicio.
Es cierto que la redacción del artículo 22 LGTel, concretamente su apartado 1 .b), pudiera producir alguna confusión en cuanto considera dentro del concepto de servicio universal "que se ponga a disposición de todos los usuarios...al menos un servicio de información general sobre números de abonados", pero sin alusión clara y precisa al supuesto de hecho que ha justificado la sanción ahora ponderada (tarifación e identificación inadecuados), debiéndose tener en cuenta que nos encontramos en el ámbito del Derecho Administrativo sancionador, de obligada interpretación respectiva.

Cesión de derechos de retransmisión de partidos de fútbol, Mallorca 1, Telefonica 0

La STS 10 de diciembre de 2010 se ocupa del conflicto surgido entre una entidad comercial que explota derechos de retransmisión de partidos de equipos de fútbol y el equipo que cede los derechos. Y la cuestión debatida es si el Mallorca había cedido unos derechos – los relativos a los partidos de la copa de la UEFA – que, de acuerdo con las reglas de dicho campeonato, no pertenecen a los clubes participantes, sino a la UEFA (aunque ésta distribuye la mayor parte de los ingresos obtenidos entre los equipos participantes).
El Tribunal Supremo dice dos cosas (dice muchas más). Que el contrato de cesión ha de interpretarse – por analogía por lo previsto en él para la final de la Copa del Rey y de la Supercopa – en el sentido de que no incluía la cesión de los derechos que no pertenecían al club y que eso no significa que estemos ante venta de cosa ajena o futura.
En cuanto a lo primero, aclara que el Juez de 1ª Instancia hizo bien en aplicar el Reglamento de la UEFA porque era lo que había que hacer para dilucidar a quién pertenecían los derechos de retransmisión. Como hemos expuesto en otro lugar, la titularidad de los derechos de retransmisión corresponden al club que organiza el evento (derecho de arena) salvo pacto en contrario. Si las reglas de la UEFA establecen que los clubes que deseen participar en esa competición habrán de aceptar que sea la organización – la asociación – la titular de esos derechos, nada que objetar: pacta sunt servanda.
En cuanto a lo segundo, aclara el TS que ambas partes sabían que los derechos de los partidos de la copa de la UEFA no pertenecían al cedente por lo que no estamos ante ningún supuesto de doble venta o de venta de cosa ajena, sino como un supuesto de imposibilidad del objeto o de error.
“ambas partes saben o deben saber que el vendedor nunca podrá entregar al comprador la cosa objeto del contrato ( STS 7-9-07 en rec. 3150/00 , del Pleno), cual es el caso, hipótesis a resolver por vía de nulidad del contrato por imposibilidad del objeto o, a lo sumo y según las circunstancias, por error en el consentimiento.
En realidad, el TS lo resuelve por vía de interpretación del contrato, determinando qué es lo que fue objeto de cesión.

No hay motivación si la sentencia no explica por qué era irrelevante la autocontratación

La Sentencia del Tribunal Supremo de 16 de diciembre de 2010 ha casado una de la Audiencia Provincial de Murcia por insuficiente motivación. Me parece lo más relevante el hecho de que el TS no acepta que la Sala de la Audiencia no se pronunciara sobre un hecho fundamental: autocontratación. En otra entrada, hemos criticado una Sentencia de la Audiencia Provincial de Madrid que ignoraba completamente la existencia de autocontratación
Los hechos son muy complejos y no es necesario resumirlos. El TS comienza diciendo que tanto el Tribunal Constitucional como el Tribunal Supremo han tenido bastante manga ancha con la motivación
“la jurisprudencia de esta Sala, que también admite la motivación por remisión e incluso que determinadas pretensiones puedan considerarse implícitamente rechazadas a la vista del conjunto de los fundamentos de la sentencia de que se trate (p. ej. STS 16-3-10 en rec. 2044/05 ), anula no obstante aquellas sentencias de apelación que no permitan conocer las razones de la decisión del tribunal sobre la cuestión nuclear del pleito (así, SSTS 29-4-05 en rec. 4535/98 , 14-3-05 en rec. 3938/98 o 27-10-04 en rec. 2851/98 ). …. De ahí que …una motivación lacónica y por remisión pueda cumplir también la referida exigencia constitucional ( SSTC 175/92 y 115/96 ), que las sentencias civiles no hayan de tener necesariamente un apartado específico de hechos probados ( SSTS 14-3-95 , 13-4-96 , 27-11-97 , 9-6-98 y 23-5-03 entre otras muchas) o que tampoco sea imprescindible la cita expresa de preceptos legales ( SSTS 20-12-96 y 16-6-00); pero de ahí, también, que …la sentencia no pueda considerarse debidamente motivada cuando resulte imposible conocer las verdaderas razones de su fallo (STS 22-4-02 ) o no resuelva la cuestión verdaderamente planteada ( SSTS 14-4-99 y 9-6-04 )”
Pues bien, de proyectar la doctrina del Tribunal Constitucional y la jurisprudencia de esta Sala sobre la sentencia recurrida se desprende que ésta, como alega la parte recurrente, no supera el canon de la mínima motivación exigible, pues por muy expresamente que acepte los fundamentos de derecho de la sentencia apelada, lo cierto es que no sólo omite cualquier consideración sobre la extralimitación de la sentencia de primera instancia al apreciar una accesión inmobiliaria, o sobre la compatibilidad de una servidumbre de paso con el hecho de que el camino por el que se pasa sea un camino público, sino que además, y sobre todo, nada razona sobre aquello que la parte demandada… erigió en núcleo o fundamento básico de su
oposición: a saber, la improcedencia de que retrospectivamente pudiera fijarse en 2002 el contenido de un contrato, celebrado verbalmente en 1997, mediante la elevación a público del certificado de una sesión del Consejo de Administración de la sociedad demandada presidido por el demandante D. Vidal y actuando como secretario quien luego en el litigio, como testigo, declaró haberse limitado a suscribir lo que el propio Sr. Vidal le había puesto a la firma… así, que el tribunal sentenciador eludió pronunciarse sobre la fuerza probatoria de dicho documento público, sobre la reiteradísima alegación de autocontratación por la demandada,
Como se ve, el demandante, aprovechando su capacidad de influir en la formación de la voluntad de los órganos de la demandada, hizo constar que una relación contractual entre ambas era como convenía a la demandante “sentándose” en los dos lados de la mesa (era parte A y presidente del Consejo de Administración de B)

jueves, 20 de enero de 2011

El Tribunal de Justicia hace el ridículo: la responsabilidad de la matriz por las infracciones de la filial al 100 %

Hoy se ha publicado la Sentencia de 20 de enero de 2011 del Tribunal de Justicia (Asunto C 90/09). El primer punto de discusión – es un recurso de casación contra una sentencia del Tribunal General – es el de si es conforme con el principio de personalidad de las penas que se impute automáticamente a la matriz por las conductas restrictivas de la competencia llevadas a cabo por sus filiales. El TJ, sin argumentación alguna que merezca tal nombre, como se verá, lo rechaza con su característico formalismo y trasladando conceptos elaborados en un ámbito jurídico a otro sin determinar si tal traslado está justificado o no. En otra entrada habíamos repasado los antecedentes y las magníficas conclusiones del Abogado General Bot en un asunto distinto pero semejante. Antes de pasar a realizar este análisis del razonamiento del TJ conviene aclarar que la CNC y los tribunales españoles incurrirían en infracción del art. 25.1 de la Constitución Española si aplicasen la jurisprudencia europea a casos de aplicación del art. 1 LDC.
Estos son los pasos del razonamiento/silogismo del Tribunal de Justicia
Una empresa es una “entidad que ejerza una actividad económica”. Esta afirmación es irrelevante para resolver
Una empresa es una unidad económica “aunque, desde el punto de vista jurídico, esta unidad económica esté constituida por varias personas físicas o jurídicas”, o sea, lo que se conoce como un grupo de sociedades.
Cuando una unidad económica/empresa infringe las normas de competencia, debe responder. Claro, pero el tribunal parece olvidar que las “unidades económicas” no son sujetos de Derecho y, por tanto, no pueden responder. Solo responden las personas físicas o jurídicas. Pero tan elemental afirmación no arredra al TJ. Es igual: 
36      Cuando una entidad económica de este tipo infringe las normas sobre competencia, le incumbe, conforme al principio de responsabilidad personal, responder por esa infracción (sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 56 y jurisprudencia citada).
Bueno, pero habrá que decir quién de entre todas las sociedades que conforman un grupo de sociedades responde. El TJ dice que la matriz al 100 % responde
 37      Por lo que se refiere a la cuestión de identificar en qué circunstancias una persona jurídica que no es la autora de la infracción puede, no obstante, ser sancionada, se deriva de una reiterada jurisprudencia que el comportamiento de una filial puede imputarse a la sociedad matriz, en particular cuando, aunque tenga personalidad jurídica separada, esa filial no determina de manera autónoma su conducta en el mercado sino que aplica, esencialmente, las instrucciones que le imparte la sociedad matriz, teniendo en cuenta concretamente los vínculos económicos, organizativos y jurídicos que unen a esas dos entidades jurídicas (sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 58 y jurisprudencia citada).
38      En efecto, en tal situación, al formar parte la sociedad matriz y su filial de una misma unidad económica y constituir, por lo tanto, una única empresa en el sentido del artículo 81 CE, la Comisión puede, a través de una decisión, imponer multas a la sociedad matriz, sin que sea necesario demostrar la implicación personal de ésta en la infracción (véase, en este sentido, la sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 59).
Obsérvese la barbaridad: se puede imponer multas a un sujeto – la matriz – que no ha cometido la infracción sin que haga falta demostrar que el sujeto ha estado implicado personalmente en la infracción. La pregunta inmediata es: ¿y a todas las demás sociedades del grupo? Me refiero, por ejemplo, a otras filiales. Si éstas constituyen una unidad económica con la filial que ha participado en el cártel, ¿porque no se hace responsables también a todas las filiales del grupo? Sigue adelante el TJ con el “caso particular” de la filial al 100 %
39      … que ha infringido las normas … de competencia, cabe afirmar, por una parte, que esa sociedad matriz puede ejercer una influencia decisiva en la conducta de su filial y, por otra, que existe la presunción iuris tantum de que dicha sociedad matriz ejerce efectivamente tal influencia….
Fíjense que no son dos presunciones contra reo. La primera es una constatación: que alguien que ostenta el 100 % del capital de una sociedad puede influir en la conducta de los órganos de ésta. La segunda es una presunción contra reo insuficientemente justificada. Es aquí donde se ve la escasa calidad del razonamiento dogmático del Tribunal de Justicia (del razonamiento económico hablamos en otra ocasión). En efecto, si la segunda presunción significa algo distinto de la primera (que puede influir y que influye) y de ella pretende extraerse la legítima imputación de la matriz por la conducta de la filial, falta un paso en el razonamiento, porque que se pueda presumir que la sociedad matriz influye efectiva y generalmente en el comportamiento de sus filiales al 100 % no permite deducir sin más prueba que, en relación con la participación en un cártel por la filial y sin que haya más signos externos de la implicación de la matriz, la matriz participó en el cartel. Que es lo que debería probar la Comisión Europea para poder imponer la multa a la matriz. Porque la multa se impone a la matriz porque participó en el cártel (principio de personalidad), no por ser la sociedad matriz.
Con ello, la barbaridad está consumada
40      …  Consecuentemente, la Comisión puede considerar que la sociedad matriz es responsable solidaria del pago de la multa impuesta a su filial,
Bueno, no es tal barbaridad – dice el TJ – porque es una presunción iuris tantum. Mejor, una alteración de la carga de la prueba.
a no ser que dicha sociedad matriz, a la que incumbe desvirtuar dicha presunción, aporte suficientes elementos probatorios que demuestren que su filial se conduce de manera autónoma en el mercado
¿Qué es lo que tiene que demostrar la matriz? ¿Que ella no participó en el cártel? ¿Que la filial – el consejero-delegado, el director de ventas… – actuó autónomamente y sin consultar con la matriz en relación con el cártel? Desgraciadamente, no. Porque aunque el párrafo que acabamos de transcribir es ambiguo, inmediatamente, el Tribunal de Justicia admite que se trata de una probatio diabolica.
Ya hemos dicho en otras entradas que el Tribunal de Justicia tiene pocos privatistas de nivel en su seno. Pero este razonamiento revela una ignorancia notable acerca de los grupos de sociedades. Estos se definen, normalmente, como un conjunto de sociedades que actúan bajo una unidad económica, es decir, que tienen centralizadas determinadas políticas, normalmente y como mínimo, la financiera pero, a veces, la comercial, la de recursos humanos, la de provisión de insumos etc. Es decir, que hay grupos más centralizados y grupos menos centralizados. En función del grado de centralización, la matriz determina las decisiones de la filial en más o menos ámbitos. Un cierto grado de autonomía de la filial existe prácticamente siempre, sobre todo, cuando se trata de filiales que desarrollan un determinado objeto social o que están activas en un ámbito geográfico específico.
En consecuencia, lo que la matriz debería demostrar no es que no influye en las decisiones de la filial. Eso sería contradictorio con el propio hecho de formar un grupo de sociedades. Los grupos de sociedades se caracterizan porque varias sociedades se someten a una dirección económica unitaria más o menos intensa. Lo que debería demostrar es que no influyó en la decisión de la filial de participar en el cártel  o, si se quiere, no tomó las medidas adecuadas para impedir (culpa in vigilando) que la filial participara en el cártel. No es eso lo que dice el Tribunal de Justicia que debe probar la matriz
  51      En efecto, de la jurisprudencia del Tribunal de Justicia se desprende que, para desvirtuar la presunción de que una sociedad matriz que posee el 100 % del capital de su filial ejerce efectivamente una influencia decisiva en la conducta de ésta, incumbe a dicha sociedad matriz someter a la apreciación del juez de la Unión todo elemento relativo a los vínculos organizativos, económicos y jurídicos existentes entre ella y su filial que puedan demostrar que no integran una única entidad económica...
Obsérvese lo ridículo de la afirmación del TJ: ¡está pidiendo a la matriz de un grupo que demuestre que su filial al 100 % no forma parte de su grupo! Y el próximo párrafo
      52. esta presunción no se traduce en una atribución automática de responsabilidad a la sociedad matriz que posee la totalidad del capital social de su filial, lo cual sería contrario al principio de responsabilidad personal sobre el que se asienta el Derecho de la competencia de la Unión
          Yet in the sort of intellectual somersault for which European competition law has become notorious, the Court declared that its ruling would not undermine businesses' rights of defense. That's because, according to the Court, "the rights of the defence is a fundamental principle of European Union law," enshrined both in case law and in the Charter of Fundamental Right of the European Union..
Lasciate ogni speranza. Por las dudas: el resto de la sentencia no altera lo expuesto hasta aquí. La matriz no consiguió refutar la presunción porque aunque demostró que no sabía nada de la participación de la filial en el cártel le resultaba imposible, como hemos dicho, demostrar que su filial al 100 % no formaba parte de su grupo. Es como si el Tribunal de Justicia hubiera dicho que el socio único responde de las deudas de la sociedad. En otro lugar explicaremos el desastre que es aplicar la doctrina del efecto útil a normas cuasi-penales. 

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La Autoridad Francesa de la Competencia ha presentado un proyecto de comunicación sobre cálculo de multas. Un detalle interesante es que, para establecer el llamado importe base de la multa, se remite, como todas las autoridades al volumen de ventas afectado por la restricción de la competencia pero el porcentaje que se usa para determinar dicho importe va desde el 0 % del volumen de ventas hasta el 30 %. La CNC española, por el contrario, , en la Comunicación de multas establece que el importe base se determinará aplicándole al volumen de ventas afectado por la infracción entre un 10 y un 30%. Es decir, hay un porcentaje mínimo que no habrá en Francia. Por otro lado, el Proyecto de Comunicación francesa establece el porcentaje aplicable a los hard core cartels, esto es, a los repartos de mercados, fijación de precios etc. (entre 15 y 30%). En España, el porcentaje mínimo aplicable en estos casos es generalmente 20%, pues al ser siempre calificados como infracciones muy graves, la comunicación establece la posibilidad de aumentar el 10% hasta en otros diez puntos porcentuales cuando se trata de infracciones muy graves.
El modelo francés es preferible. Es muy preocupante que, ante acuerdos o prácticas calificadas como “restrictivas por el objeto”, pero que no son hard core cartels, como ocurre con intercambios de información o con acuerdos de uniformización de condiciones comerciales (aspectos del producto distintos del precio), la autoridad parta del 10 % del volumen de ventas para fijar la multa en la medida en que el art. 62.4 LDC califica indiscriminadamente como “muy graves” todas las conductas “colusorias tipificadas en el artículo 1 de la Ley que consistan en cárteles u otros acuerdos, decisiones o recomendaciones colectivas, prácticas concertadas o conscientemente paralelas entre empresas competidoras entre sí, reales o potenciales”

¿Cómo cuidar a los críos interesados en Ciencias-Tecnología-Ingeniería-Matemáticas?

De los resultados PISA, lo peor de nuestros estudiantes tiene que ver con las matemáticas. En EE.UU. se ha publicado un informe sobre qué hacer al respecto. Se rechaza la idea de obligar a todos los estudiantes a pasar cursos de STEM y se propone lo siguiente
Among the ideas in the report is placing a greater emphasis on making sure students can demonstrate skills rather than merely memorize content.  In addition, it would make sense to allow Sciences-Technology-Engineering-Maths-oriented students to spend more time in those courses and less time on other subjects.  Also, we need to make sure the resources are there beginning freshmen year so we don’t lose the kids who were STEM-inclined but instead nurture them with greater opportunities right away.
In addition, the report urges policy makers to get serious about creating entirely new institutions – STEM specialty schools – and develop the infrastructure to identify and recruit the most promising students to pursue their passions in exceptional world-class educational environments.

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