miércoles, 26 de enero de 2011

Los grupos de interés – colegios de abogados - se apropian de la legislación (en Italia, por ahora)

Ahora que está en discusión la entrada en vigor de la Ley de Acceso, Michele Carpagnano me envía unas notas sobre la reforma italiana de la profesión de abogado y las consideraciones sobre el texto que ha publicado la Autoridad italiana de la Competencia. Con antecedentes como estos, las autoridades españolas harían bien en derogar la Ley de Acceso y dejar las cosas como están
Alcuni aspetti della riforma (di seguito sinteticamente illustrati):
Ø estensione delle attività esclusive dell’Avvocato
Il testo di riforma propone un ampliamento della riserva di esclusiva delle attività di competenza degli iscritti all’Albo (tali attività ricomprendono anche le procedure arbitrali rituali, le attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale).
L’AGCM ha rilevato che l’attribuzione di ambiti di esclusiva integra una grave restrizione della concorrenza in quanto: (i) costituisce una protezione legale dalla concorrenza; (ii) limita la libertà economica degli operatori; (iii) restringe le possibilità di scelta degli utenti.
Con riferimento al testo di riforma, l’AGCM ha osservato che, se per le attività tipiche della professione forense, ossia la rappresentanza, l’assistenza e la difesa in giudizio, può apparire legittima l’imposizione di un’esclusiva, “per tutte le altre attività, che il disegno di legge intende escludere dal regime di libertà di accesso, la giustificazione manca del tutto”.
Secondo AGCM, l’estensione degli ambiti di esclusiva non comporta un effettivo accrescimento della tutela degli assistiti, ma determina una restrizione della concorrenza tra professionisti, incidendo significativamente sui costi delle procedure amministrative, conciliative e stragiudiziali, con ripercussioni negative sui cittadini e sulle imprese.
Ø modalità di esercizio della professione tramite Associazioni / Società
Il testo di riforma prevede che la professione può essere esercitata anche in forma associativa o societaria, stabilendo, tuttavia, alcune limitazioni a tale forma di esercizio (e.g. divieto di società di capitali; regime della società semplice; previsione della responsabilità solidale ed illimitata per gli associati ed i soci nei confronti dei terzi; associazione esclusiva dell’avvocato; esclusione della natura di impresa commerciale; non assoggettabilità a procedure fallimentari / concorsuali).
Secondo l’AGCM, anche ai sensi del quadro normativo vigente, i professionisti devono essere liberi di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare attraverso società di persone e/o di capitali o associazioni e non vi sono ragioni per precludere l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali. Secondo l’AGCM, tali forme sono le “più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni” che consentono “ai professionisti italiani di poter rispondere adeguatamente alle sfide che sono chiamati ad affrontare nel contesto europeo”.
Ø disciplina delle tariffe
Il testo di riforma prevede la vincolatività ed inderogabilità dei minimi tariffari ed il divieto del patto di quota lite. La tariffa professionale è articolata in relazione al tipo di prestazione e al valore della pratica. I minimi tariffari sono sempre inderogabili, i massimi possono essere derogati con accordo scritto a pena di nullità.
Secondo l’AGCM, la disciplina proposta appare “inadeguata e non condivisibile” in quanto volta a introdurre una rigidità nel comportamento economico delle parti già superata con il Decreto Bersani.
Tale rigidità non risulta giustificata dal perseguimento di interessi generali, essendo piuttosto finalizzata a proteggere gli avvocati dalla concorrenza di prezzo.
Secondo i consolidati principi antitrust, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza (impediscono di adottare comportamenti economici indipendenti) e non garantiscono la qualità della prestazione.
L’AGCM ritiene che a protezione del cliente potrebbe trovare giustificazione il mantenimento soltanto delle tariffe massime, con riferimento a prestazioni aventi carattere seriale e di contenuto non particolarmente complesso.
L’Autorità ha osservato che il decoro, concetto di valore etico che può essere utilizzato quale principio generale dell’attività professionale, non può essere utilizzato come parametro economico di determinazione del compenso, in quanto potrebbe facilmente reintrodurre l’inderogabilità dei minimi tariffari: il compenso decoroso sarebbe, in conclusione, quello che rispetta la tariffa minima.
Il richiamo alla “tariffa”, quale parametro di riferimento al fine di determinare un “compenso ulteriore” da riconoscere all’avvocato, risulta in contrasto con i principi antitrust di libera determinazione del compenso, nonché con il citato Decreto Bersani, che ha abolito il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
Ø regime delle incompatibilità
Il testo di riforma amplia il novero delle incompatibilità dell’Avvocato, la cui professione diviene incompatibile con una serie di attività tra cui: (i) ogni altra attività di lavoro autonomo / subordinato (ii) l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale; (iii) la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale; (iv) la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa; (v) la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con effettivi poteri individuali di gestione. Sono previste alcune eccezioni specificate nell’art. 17 del DDL.
Secondo l’AGCM, affinché il regime delle incompatibilità sia coerente con le regole antitrust, esso deve risultare: (i) funzionale alla natura e alle caratteristiche dell'attività; (ii) necessario e proporzionato a salvaguardare l'autonomia dei soggetti che erogano le prestazioni; (iii) idoneo a tutelare l'integrità del professionista (iv) indispensabile per il corretto esercizio della professione.
Applicando tali criteri di valutazione alle ipotesi di incompatibilità di cui alla proposta di riforma, l’AGCM ha ritenuto non necessarie né proporzionate le incompatibilità a svolgere altre attività di lavoro autonomo o dipendente, anche part-time.
L’AGCM ha evidenziato che situazioni di conflitto di interessi, che dovessero eventualmente emergere nello svolgimento di diverse attività professionali, potrebbero essere risolte con la previsione di strumenti proporzionati, ricorrendo, ad esempio, alle regole di correttezza professionale e a conseguenti obblighi di astensione dallo svolgimento dell’attività in conflitto.
Ø Informazioni sull’esercizio della professione (la disciplina della pubblicità)
il DDL non utilizza la locuzione “pubblicità”, riferendosi, piuttosto, alle “informazioni sull’esercizio della professione”. Tali informazioni devono riguardare “il modo di esercizio della professione” e devono essere fornite “in maniera veritiera, non elogiativa, non ingannevole e non comparativa”.
I contenuti e le forme dell’informazione “devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza nonché nel rispetto dei princıpi del codice deontologico”. Al CNF è demandato il compito di determinare i criteri concernenti le modalità e gli strumenti dell’informazione e della comunicazione.
L’AGCM ha rilevato che l’utilizzo della locuzione “informazione” in luogo del termine “pubblicità” risulta fuorviante e limitativo, in quanto non esplicita con chiarezza la possibilità per il professionista di ricorrere allo strumento pubblicitario, ai fini della promozione della propria attività.
Secondo l’AGCM la disciplina proposta risulta restrittiva della concorrenza perché vieta ingiustificatamente il ricorso alla pubblicità comparativa, nonché l’utilizzo di toni elogiativi propri delle comunicazioni pubblicitarie, atteso che lo strumento pubblicitario rappresenta un’importante leva concorrenziale a disposizione del professionista.
Si noti che nel testo dell’Indagine Conoscitiva del 2009, l’AGCM aveva già rilevato che il potere di verifica sulla pubblicità attribuito agli ordini dalla legge Bersani (e non previsto nel testo dell’originario decreto legge) non trova alcuna giustificazione razionale nell’ambito dell’ordinamento giuridico, posto che il controllo della pubblicità è affidato per legge all’AGCM.
Ø disciplina delle specializzazioni
Il testo di riforma introduce la disciplina delle specializzazioni. Sono previsti requisiti soggettivi (i.e. anzianità di iscrizione all’albo) per poter partecipare ai corsi di alta formazione. E’previsto un sistema di esonero per gli iscritti all’albo con una determinata anzianità. Solo il CNF può attribuire il titolo di specialista a seguito del superamento di un esame da parte del candidato.
Con riferimento alla disciplina delle specializzazioni, l’AGCM ha individuato le seguenti criticità di natura concorrenziale:
· l’attribuzione al CNF dell’individuazione delle specializzazioni;
· la mancata previsione di metodi alternativi alle scuole per l’acquisizione del titolo di specialista.
L’Autorità auspica la previsione di un sistema aperto ed alternativo alle scuole per l’acquisizione del titolo valido per tutti i professionisti e tale per cui questi possano dimostrare la relativa specializzazione a prescindere dalla frequenza delle scuole.
Secondo l’AGCM, il sistema delle specializzazioni non dovrebbe essere lasciato alla disponibilità esclusiva del CNF.

Cinco reglas de un emprendedor

Having started Box.net in his college dorm room, CEO Aaron Levie has learned some valuable lessons. In this clip, Levie elaborates on five lessons: 1) Do something that was not possible three years ago, 2) Do something you are extremely passionate about, 3) Don't compromise, 4) If you feel comfortable, you're probably not doing it right, and 5) Don't write your obituary too early.
El primer consejo me parece sugerente: haz algo que no fuera posible hace tres años. Es un buen consejo porque si era posible hacerlo hace tres años, es probable que otro ya lo haya hecho (es como la historieta de economistas del billete de 100 euros tirado en el suelo: ¡no sea estúpido! es imposible que haya un billete de 100 euros tirado en la calle. En realidad, dados los incentivos y las posibilidades de cualquier viandante para hacerse con el billete podemos deducir que el tiempo que estará tirado en el suelo tenderá a cero). Aunque, como decía Piaget, la inteligencia está en dar soluciones nuevas a problemas viejos o ver las cosas y las relaciones entre las cosas de manera diferente al resto.

martes, 25 de enero de 2011

The Question is not whether “a more economic approach” is dead or alive. The Question is that it has already reached its limits

Until the European Commission started to fine big cartels some 10 years ago, it can be said that all the European Competition Law was just sand in the gears of the European economy. Who could honestly say that all the prohibitions issued by the European Commission regarding distribution or, in general, vertical agreements added anything to the welfare of European consumers and the functioning of the European market in a competitive way? This is not only my view:
for about a decade EEC antitrust policy almost exclusively consisted of a fight against vertical agreements in defense of the paramount integration objective[1].
The sad thing is that it did not help to build an integrated market. In fact, it probably disincentived national firms to go abroad for fearing of losing a comfortable position in its home market. But in the way, the whole competition law system (Ordnung) created under the ordoliberal model was for grabs.
This ordoliberal model can be resumed as follows: Art. 101.1 must be interpreted in a very restrictive way including primarily hard core cartels. Therefore, 101.3 must be interpreted also in a very restrictive way: only the cartels that fulfill this four requirements are to be awarded with an authorization
Only such a comprehension of art. 101.1 can be rational. How could a system of individual authorization by the European Commission be manageable if any agreement having potential effects on competition (understood as any limit on the autonomous design and implementation of a firm strategy in the market) had to be previously authorized by the Commission in order to be considered valid? German Ordoliberals were not so stupid.
But, market integration zealots entered the picture. And they wrongly believed that private barriers to trade are essentially comparable to public barriers. They forgot what was competition Law all about: to control market power. Grundig had no market power and, therefore, his contracts with Consten or, for that matter, with anyone else, should have been of no concern to the competition authorities.
It took the European Commission 40 years to understand it. In September 2005, Commissioner Kroes said she was “convinced that the exercise of market power must be assessed essentially on the basis of its effects in the market, although there are exceptions such as the per se illegality of horizontal price fixing[2]. Only in 2010 were finally suppressed any limits to the freedom of car manufacturers to contract with its distributors as it pleases to them. But the story is not over. Pharmaceutical Companies are not allowed to control the distribution of its products; a manufacturer is not allowed to protect his brick and mortar retailers against on-line distribution. Abuse of dominance cases and collusive agreements are not treated the same way although they should since both pose problems of market power (attained through the agreement in art. 101 cases); exchange of information is equated with infringement by object and with a cartel…
The European Commission cannot go a long way further because the Grundig jurisprudence is still alive. The Commission is, of course, guilty since Grundig and its progeny was a victory for the Commission and a defeat for the economic approach and the Advocate General. Obviously, the Commission could not anticipate that the European Court would never overrule its precedents.
We do not need a more economic approach. We have got very much (bad) economic reasoning in the Court Judgments and Commission Decisions. What we need is a better legal approach, which means an economically educated legal reasoning consistent with the fundamental principle of EU Law: freedom.

[1] Giocoli, Nicola, Competition vs. Property Rights: American Antitrust Law, the Freiburg School and the Early Years of European Competition Policy (May 1, 2007). Journal of Competition Law and Economics, 2009. Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=987788
[2] Apud, GERADIN, Is the Guidance Paper on the Commission’s Enforcement Priorities in Applying Article 102 TFEU to Abusive Exclusionary Conduct Useful?

Los costes de promocionar artistas

Uno de los argumentos para defender los derechos de propiedad intelectual tal como están configurados hoy es el de que los productores fonográficos no pueden promover a nuevos artistas si se reducen los ingresos por venta de discos o de descargas. En otras entradas hemos insistido en la necesidad de que bajen los precios – y mucho – de los productos que incorporan derechos de propiedad intelectual, simplemente, porque los costes de distribución han desaparecido. En cuanto a los costes de producción, The Economist decía en su número de enero, en relación con los videos musicales:
Production costs have fallen even faster than budgets. High definition cameras, editing software and computer processing power are all much cheaper. Jill Capone, head of marketing of Universal says she might spend a mere 3000-5000 dollars on a video to promote a new artist or 75000 for an established act . Gone are the days of the 600000 video she smiles
O sea, que si los precios de los productos finales debieran bajar proporcionalmente, deberíamos pagar un 1 euro por un CD por el que pagamos 20 o, como mucho 4 euros o, en otros términos, no más de 0,1 euro por canción (de a 20 euros el CD).

lunes, 24 de enero de 2011

Por qué seguimos por mal camino, a través de EL PAIS

Gastos duplicados (Aizpeolea). El periodista no se ha leído la Ley Audiovisual. Prohíbe a las CC.AA privatizar los canales autonómicos. O sea, por un lado, el Estado dice que tienen que ahorrar y, por otro, no les permite ahorrar. Una buena solución: obligar a las CC.AA que quieran prestar el servicio a través de una entidad pública a establecer un canon y que los ciudadanos digan si quieren pagar 50 euros por tener una tele autonómica (o dos). Cómo ahorrar más: Comisión Nacional del sistema Postal: no crearla y atribuir sus competencias a la CMT. Comisión Estatal de Medios Audiovisuales: no crearla – ni siquiera un consejo separado – y atribuir sus competencias a la CMT. La impresión es que el PSOE quiere colocar a unos cuantos más.
Recuenco: sobre las pensiones. Bien. De acuerdo. Pero se olvida del coste de gestión de una norma que estableciera una edad de jubilación diferenciada para cada profesión. Todas las profesiones acabarían siendo de las del tipo minero o encofrador. Solución: que el convenio colectivo de María prevea un complemento de la pensión cuando se jubile antes de los 67.
Viçenc Navarro: como casi siempre, al di là di tutta razionalità. ¡Claro que si trabajásemos más gente se podría sostener a más gente!. El problema no es el paro. El problema es por qué todos los trabajos que se crean los ocupan inmigrantes (bueno, el 70 %). El problema es el de los incentivos para trabajar. España, con tan buen clima, tan buenas familias, tan bajos sueldos en trabajos no cualificados y una cobertura tan generosa del desempleo (2 años si se ha trabajado durante 4) desincentiva el trabajo poco remunerado (entre trabajar en un puesto poco gratificante por 800/1000 euros al mes y no trabajar por 450 ¿qué elegiría Vd?)

sábado, 22 de enero de 2011

Cómo se controla Goldman y teoría de las organizaciones

Larry Ribstein, que escribe todavía más que yo, tiene una entrada sobre el sistema de remuneración en Goldman Sachs. A él le fascinan estas cosas porque tiene un libro sobre las “Uncorporations”. Goldman Sachs es una organización tan “rara” que el hecho de que sus directivos/socios de control/partners se hayan forrado en mucha mayor medida que sus accionistas habla, precisamente, en contra de la Justicia de la remuneración de los ejecutivos en las entidades financieras en general. Porque da la impresión de que Goldman ha diseñado su organización interna para asegurar a los inversores que compran acciones en la Bolsa que no serán expropiados (otra cosa es si los ejecutivos de las entidades financieras obtienen rentas a costa de los contribuyentes que sanean periódicamente el sector).
En el artículo del New York Times se narra que los que eran socios de la sociedad colectiva que era Goldman hasta que salió a Bolsa en 1999 decidieron continuar asociados y poner en común sus acciones en Goldman actuando como un sindicato de voto en una partnership o sociedad de personas. De manera que hoy, uno de los principales accionistas de Goldman es una partnership (no exactamente, porque los accionistas de Goldman son los socios de la partnership, no la partnership misma) donde están los antiguos partners. Algunos de ellos – muchos – son ejecutivos de la compañía y reciben acciones u opciones para adquirir acciones de Goldman que, lógicamente, se incluyen en la partnership. Obviamente, no cualquier accionista de Goldman puede participar en la partnership y, de los que lo son, los que dejan de ser ejecutivos van abandonándola .
The members are typically the firm’s most senior executives, … As a group, the partners have considerable sway at the company, … they vote as a block, giving them an unusual amount of influence on key decisions at the firm’s annual meetings, from board selection to shareholder proposals on pay. The group casts secret ballots ahead of time to decide their position…
To ensure they maintain a significant stake, the partnership typically asks members to hold on to 25 percent of the shares they receive after joining the group. The figure rises to 75 percent for senior officers.
The club has gotten even more selective as the company has grown. In 2000, Goldman announced 110 new partners, about 0.5 percent of employees. Last year, Goldman tapped 110 executives, just 0.33 percent of the staff.
Aunque parece que estamos ante un pacto parasocial de control, la tentación es la de calificar a Goldman como – casi – una sociedad comanditaria por acciones. O mejor una GmbH & Co KG. Es decir, una sociedad anónima con accionistas-administradores (que son considerados como socios colectivos en la regulación de la sociedad comanditaria por acciones) que tienen una capacidad de control de la compañía muy superior a la de los accionistas comanditarios.
Como organización, parece una buena idea. Alguien dirá que se llevan un montón de acciones nuevas de Goldman cada año como remuneración, pero el sistema descrito permite sacar a Bolsa a sociedades profesionales, es decir, a sociedades cuyo valor depende en gran medida de su capacidad para retener capital humano. Los inversores serán renuentes a comprar acciones de una compañía cuyo valor depende de que el equipo humano siga en la compañía. Este podría expropiar a los inversores sacando la compañía a Bolsa para, a continuación, vender sus acciones y montar una compañía rival captando a clientes y demás empleados. Incluyendo a los empleados de mayor talento y posición en la partnership que controla la compañía, Goldman ha “prometido” a los inversores que Goldman seguirá reteniendo a los mejores en el mundo de las finanzas. Porque los meterá en la “partnership”.
Tengo curiosidad por saber quién sugirió a los partners de Goldman, en 1999, mantener la partnership tras la salida a Bolsa.

Flattr

En este blog hemos escrito algunas entradas sobre la propiedad intelectual y la necesidad de inventar nuevos modelos de negocio. Hemos insistido en que los derechos de propiedad sobre cosas físicas son diferentes, en muchos sentidos, de los derechos de propiedad intelectual y hemos señalado que la configuración legal de los derechos de propiedad intelectual (duración, extensión…), sobre todo en lo que a la distribución de los mismos se refiere, es muy ineficiente porque es producto del éxito de grupos de interés muy bien organizados que han conseguido prevalecer sobre los intereses dispersos de los consumidores. También hemos señalado que las justificaciones “profundas” de la existencia de derechos de propiedad intelectual no justifican el sistema vigente de protección. A través de un blog de The Economist me entero de la existencia de Flattr.
 Flattr functions like a cross between the Facebook "like" button and a flat-rate PayPal, with a bit of StumbleUpon thrown in for good measure. Users pay a fixed monthly fee of at least €2 ($2.70) and no more than €100. In return they can click the Flattr button on any site that uses the service and install the button on their own websites. At the end of each month, the amount of money deposited by the user is divided by the number of clicks (minus a 10% fee for Flattr) and distributed among the site owners…
By letting users spread their monthly donation as thinly as they desire, Flattr discards the notion of per-item value. Clicking to make a donation on one item does not prevent you from clicking on others; it just shares the money out more widely. And by making payments optional, and allowing people to decide whether to click after reading a blog post or watching a video, users are not forced to guess whether their purchase will be worth the cost. Meanwhile, banking fees are minimised by accepting, for example, €24 at once instead of €2 per month.
Suena como una muy buena idea. Y sus inventores son los de Pirate Bay. Hay otras cosas parecidas. Una es Kachingle

Neurociencias y Derecho

A través de Kedrosky, una colección de documentos breves que exponen el estado actual de las neurociencias en un lenguaje comprensible para el lego. Reproduzco algunos párrafos que relacionan estos estudios con el Derecho aunque los documentos merecen ser leídos enteros (las conexiones neuronales no se completan hasta los 20 años de vida)
Delitos de peligro cuyas penas se agravan cuando se ha actualizado el daño para el bien jurídico. ¿Por qué si no hay diferencia en cuanto a la culpabilidad?
Punishment also seems to fulfil a second function (además de la disuasoria), in satisfying the human need for justice. Legal systems do not seem to only sanction the amplitude of deviance but also the severity of the  consequences of deviant behaviour. Crossing a red light without causing an accident may lead to a temporary loss of the driver’s license. However, if the consequence is a severe accident with casualties, the punishment tends to bemuch more severe, even though the deviant behaviour, the ‘subjective guilt’, was exactly the same.
Los que cometen delitos horrorosos tienen siempre una alteración cerebral
If a person has committed what is considered to be cold blooded murder in order to obtain some benefit and a tumour is discovered in his frontal lobe, extenuating conditions may be granted. One might argue that this tumour disrupted the pathways that link the storage site of moral values with the inhibitory centres that would normally prevent the fatal action. From a neurobiological point of view, however, one might argue that any person capable of committing such a crime must always have some abnormalities in the functional architecture of his or her brain, even if this abnormality is not detectable with current technologies. Genetic dispositions could have limited the storage capacity of the networks in which moral values and imperatives get stored, or they may have led to abnormally weak control mechanisms for the inhibition of actions. The same abnormalities may have been caused by developmental mishaps, insufficient installation of moral imperatives through education, or deficient inhibitory mechanisms due to lack of training during brain maturation. If all these features of the functional architecture are actually in the normal range, then one would have to assume temporary abnormalities in the system’s dynamics, for instance caused by metabolic disturbances, or by some highly unlikely but still possible deviations of the brain’s dynamics…Thus, members of our society who had the misfortune to possess a brain which ended up at the negative end of a normal distribution should have our empathy. But does this exempt our society from its duty to protect all its members and to define what is tolerable and what is not?
No, pero sí que debería hacernos cambiar las justificaciones para la imposición de las penas.

¿Es inconstitucional prohibir a las empresas financiar campañas publicitarias políticas en televisión?

Citizens United v. Federal Election Commission has been described as “one of the most important business decisions in a generation.” In Citizens United, the Supreme Court of the United States invalidated section 441(b) of the Federal Election Campaign Act of 1971 as unconstitutional. That section prohibited corporations (and unions) from financing “electioneering communications” (speech that expressly advocates the election or defeat of a candidate) within 30 days of a primary election. The five Justices in the majority rested their holding on the assertion that “Government may not suppress political speech on the basis of the speaker’s corporate identity.” In reaching this conclusion, the majority relied on a view of the corporation fundamentally as an “association of citizens.”

Principio de legalidad en materia sancionadora

La Sentencia del Tribunal Supremo (3ª-secc 3ª) de 14 de diciembre de 2010 contiene una amplia exposición de la aplicación del principio de legalidad – descripción en la norma legal de manera concreta de las infracciones – en materia sancionadora: no cabe entender, analógicamente, que si la Ley considera como infracción grave el incumplimiento por un operador de telecomunicaciones de obligaciones de “servicio público”, se incluyen en su supuesto de hecho también los incumplimientos de obligaciones de “carácter público.
Para los que trabajamos en Derecho de la Competencia, el principio de legalidad en materia sancionadora tiene especial interés dado que los artículos 1 y 2 de la Ley de Defensa de la Competencia contienen descripciones de infracciones en forma de cláusulas generales (mejor que de “conceptos jurídicos indeterminados” que es una expresión que no me ha gustado nunca por lo indeterminada, precisamente). Es decir, son normas cuyo supuesto de hecho no está delimitado y corresponde al que aplica la norma su “concretización” mediante la elaboración de grupos de casos. Estos artículos vienen a decir: “No celebrarás pactos restrictivos de la competencia” y “No abusarás de tu posición de dominio en el mercado”. Y las sanciones se determinan calificando como graves o muy graves la celebración de acuerdos restrictivos de la competencia (con competidores dice la LDC de una forma un tanto redundante) o el abuso de posición dominante, de modo que la descripción de las infracciones y sanciones no añade nada a la descripción de las prohibiciones contenida en los arts. 1 y 2.
Se entiende fácilmente que hay que hacer un notable esfuerzo (fundado en la idea de que el legislador de competencia tiene que recurrir a cláusulas generales para asegurar la eficacia de la prohibición de cárteles y la protección del bien jurídico que es la competencia en los mercados) para cohonestar el empleo de cláusulas generales con las exigencias del principio de legalidad. J.A. Lascuraín ("Sólo penas legales, precisas y previas: el derecho a la legalidad penal en la jurisprudencia constitucional", Pamplona (Aranzadi, Colección Repertorio del Tribunal Constitucional, núm. 23), 2009) ha escrito un excelente trabajo de repaso de la doctrina constitucional al respecto. Miren lo que dice el Tribunal Constitucional 57/2010, de 4 de octubre– y reproduce la sentencia que comentamos -
El primero, que es el de taxatividad, dirigido al legislador y al poder reglamentario, y «según el cual han de configurarse las Leyes sancionadoras, llevando a cabo el "máximo esfuerzo posible" ( STC 62/1982 ) para garantizar la seguridad jurídica, es decir, para que los ciudadanos puedan conocer de antemano el ámbito de lo prohibido y prever, así, las consecuencias de sus acciones» ( STC 151/1997, de 29 de septiembre , F. 3 ). En este contexto, hemos precisado que «constituye doctrina consolidada de este Tribunal la de que el principio de legalidad en materia sancionadora no veda el empleo de conceptos jurídicos indeterminados, aunque su compatibilidad con el art. 25.1 CE se subordina a la posibilidad de que su concreción sea razonablemente factible en virtud de criterios lógicos, técnicos o de experiencia, de tal forma que permitan prever, con suficiente seguridad, la naturaleza y las características esenciales de las conductas constitutivas de la infracción tipificada» ( STC 151/1997, de 29 de septiembre , F. 3 ).
En el caso, la infracción consistía en que el operador sancionado había cobrado indebidamente a los usuarios de su servicio de información. El Abogado del Estado sostuvo que la empresa había así infringido la obligación, comprendida en el servicio universal, de poner a disposición de los abonados un servicio de información a un precio asequible.
Los dos tribunales – la AN y el TS – concluyen que la Ley solo permite calificar como infracción de una obligación de servicio universal no tener a disposición de los usuarios el servicio de información, pero no las irregularidades en el precio cobrado por ese servicio.
Es cierto que la redacción del artículo 22 LGTel, concretamente su apartado 1 .b), pudiera producir alguna confusión en cuanto considera dentro del concepto de servicio universal "que se ponga a disposición de todos los usuarios...al menos un servicio de información general sobre números de abonados", pero sin alusión clara y precisa al supuesto de hecho que ha justificado la sanción ahora ponderada (tarifación e identificación inadecuados), debiéndose tener en cuenta que nos encontramos en el ámbito del Derecho Administrativo sancionador, de obligada interpretación respectiva.

Cesión de derechos de retransmisión de partidos de fútbol, Mallorca 1, Telefonica 0

La STS 10 de diciembre de 2010 se ocupa del conflicto surgido entre una entidad comercial que explota derechos de retransmisión de partidos de equipos de fútbol y el equipo que cede los derechos. Y la cuestión debatida es si el Mallorca había cedido unos derechos – los relativos a los partidos de la copa de la UEFA – que, de acuerdo con las reglas de dicho campeonato, no pertenecen a los clubes participantes, sino a la UEFA (aunque ésta distribuye la mayor parte de los ingresos obtenidos entre los equipos participantes).
El Tribunal Supremo dice dos cosas (dice muchas más). Que el contrato de cesión ha de interpretarse – por analogía por lo previsto en él para la final de la Copa del Rey y de la Supercopa – en el sentido de que no incluía la cesión de los derechos que no pertenecían al club y que eso no significa que estemos ante venta de cosa ajena o futura.
En cuanto a lo primero, aclara que el Juez de 1ª Instancia hizo bien en aplicar el Reglamento de la UEFA porque era lo que había que hacer para dilucidar a quién pertenecían los derechos de retransmisión. Como hemos expuesto en otro lugar, la titularidad de los derechos de retransmisión corresponden al club que organiza el evento (derecho de arena) salvo pacto en contrario. Si las reglas de la UEFA establecen que los clubes que deseen participar en esa competición habrán de aceptar que sea la organización – la asociación – la titular de esos derechos, nada que objetar: pacta sunt servanda.
En cuanto a lo segundo, aclara el TS que ambas partes sabían que los derechos de los partidos de la copa de la UEFA no pertenecían al cedente por lo que no estamos ante ningún supuesto de doble venta o de venta de cosa ajena, sino como un supuesto de imposibilidad del objeto o de error.
“ambas partes saben o deben saber que el vendedor nunca podrá entregar al comprador la cosa objeto del contrato ( STS 7-9-07 en rec. 3150/00 , del Pleno), cual es el caso, hipótesis a resolver por vía de nulidad del contrato por imposibilidad del objeto o, a lo sumo y según las circunstancias, por error en el consentimiento.
En realidad, el TS lo resuelve por vía de interpretación del contrato, determinando qué es lo que fue objeto de cesión.

No hay motivación si la sentencia no explica por qué era irrelevante la autocontratación

La Sentencia del Tribunal Supremo de 16 de diciembre de 2010 ha casado una de la Audiencia Provincial de Murcia por insuficiente motivación. Me parece lo más relevante el hecho de que el TS no acepta que la Sala de la Audiencia no se pronunciara sobre un hecho fundamental: autocontratación. En otra entrada, hemos criticado una Sentencia de la Audiencia Provincial de Madrid que ignoraba completamente la existencia de autocontratación
Los hechos son muy complejos y no es necesario resumirlos. El TS comienza diciendo que tanto el Tribunal Constitucional como el Tribunal Supremo han tenido bastante manga ancha con la motivación
“la jurisprudencia de esta Sala, que también admite la motivación por remisión e incluso que determinadas pretensiones puedan considerarse implícitamente rechazadas a la vista del conjunto de los fundamentos de la sentencia de que se trate (p. ej. STS 16-3-10 en rec. 2044/05 ), anula no obstante aquellas sentencias de apelación que no permitan conocer las razones de la decisión del tribunal sobre la cuestión nuclear del pleito (así, SSTS 29-4-05 en rec. 4535/98 , 14-3-05 en rec. 3938/98 o 27-10-04 en rec. 2851/98 ). …. De ahí que …una motivación lacónica y por remisión pueda cumplir también la referida exigencia constitucional ( SSTC 175/92 y 115/96 ), que las sentencias civiles no hayan de tener necesariamente un apartado específico de hechos probados ( SSTS 14-3-95 , 13-4-96 , 27-11-97 , 9-6-98 y 23-5-03 entre otras muchas) o que tampoco sea imprescindible la cita expresa de preceptos legales ( SSTS 20-12-96 y 16-6-00); pero de ahí, también, que …la sentencia no pueda considerarse debidamente motivada cuando resulte imposible conocer las verdaderas razones de su fallo (STS 22-4-02 ) o no resuelva la cuestión verdaderamente planteada ( SSTS 14-4-99 y 9-6-04 )”
Pues bien, de proyectar la doctrina del Tribunal Constitucional y la jurisprudencia de esta Sala sobre la sentencia recurrida se desprende que ésta, como alega la parte recurrente, no supera el canon de la mínima motivación exigible, pues por muy expresamente que acepte los fundamentos de derecho de la sentencia apelada, lo cierto es que no sólo omite cualquier consideración sobre la extralimitación de la sentencia de primera instancia al apreciar una accesión inmobiliaria, o sobre la compatibilidad de una servidumbre de paso con el hecho de que el camino por el que se pasa sea un camino público, sino que además, y sobre todo, nada razona sobre aquello que la parte demandada… erigió en núcleo o fundamento básico de su
oposición: a saber, la improcedencia de que retrospectivamente pudiera fijarse en 2002 el contenido de un contrato, celebrado verbalmente en 1997, mediante la elevación a público del certificado de una sesión del Consejo de Administración de la sociedad demandada presidido por el demandante D. Vidal y actuando como secretario quien luego en el litigio, como testigo, declaró haberse limitado a suscribir lo que el propio Sr. Vidal le había puesto a la firma… así, que el tribunal sentenciador eludió pronunciarse sobre la fuerza probatoria de dicho documento público, sobre la reiteradísima alegación de autocontratación por la demandada,
Como se ve, el demandante, aprovechando su capacidad de influir en la formación de la voluntad de los órganos de la demandada, hizo constar que una relación contractual entre ambas era como convenía a la demandante “sentándose” en los dos lados de la mesa (era parte A y presidente del Consejo de Administración de B)

jueves, 20 de enero de 2011

El Tribunal de Justicia hace el ridículo: la responsabilidad de la matriz por las infracciones de la filial al 100 %

Hoy se ha publicado la Sentencia de 20 de enero de 2011 del Tribunal de Justicia (Asunto C 90/09). El primer punto de discusión – es un recurso de casación contra una sentencia del Tribunal General – es el de si es conforme con el principio de personalidad de las penas que se impute automáticamente a la matriz por las conductas restrictivas de la competencia llevadas a cabo por sus filiales. El TJ, sin argumentación alguna que merezca tal nombre, como se verá, lo rechaza con su característico formalismo y trasladando conceptos elaborados en un ámbito jurídico a otro sin determinar si tal traslado está justificado o no. En otra entrada habíamos repasado los antecedentes y las magníficas conclusiones del Abogado General Bot en un asunto distinto pero semejante. Antes de pasar a realizar este análisis del razonamiento del TJ conviene aclarar que la CNC y los tribunales españoles incurrirían en infracción del art. 25.1 de la Constitución Española si aplicasen la jurisprudencia europea a casos de aplicación del art. 1 LDC.
Estos son los pasos del razonamiento/silogismo del Tribunal de Justicia
Una empresa es una “entidad que ejerza una actividad económica”. Esta afirmación es irrelevante para resolver
Una empresa es una unidad económica “aunque, desde el punto de vista jurídico, esta unidad económica esté constituida por varias personas físicas o jurídicas”, o sea, lo que se conoce como un grupo de sociedades.
Cuando una unidad económica/empresa infringe las normas de competencia, debe responder. Claro, pero el tribunal parece olvidar que las “unidades económicas” no son sujetos de Derecho y, por tanto, no pueden responder. Solo responden las personas físicas o jurídicas. Pero tan elemental afirmación no arredra al TJ. Es igual: 
36      Cuando una entidad económica de este tipo infringe las normas sobre competencia, le incumbe, conforme al principio de responsabilidad personal, responder por esa infracción (sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 56 y jurisprudencia citada).
Bueno, pero habrá que decir quién de entre todas las sociedades que conforman un grupo de sociedades responde. El TJ dice que la matriz al 100 % responde
 37      Por lo que se refiere a la cuestión de identificar en qué circunstancias una persona jurídica que no es la autora de la infracción puede, no obstante, ser sancionada, se deriva de una reiterada jurisprudencia que el comportamiento de una filial puede imputarse a la sociedad matriz, en particular cuando, aunque tenga personalidad jurídica separada, esa filial no determina de manera autónoma su conducta en el mercado sino que aplica, esencialmente, las instrucciones que le imparte la sociedad matriz, teniendo en cuenta concretamente los vínculos económicos, organizativos y jurídicos que unen a esas dos entidades jurídicas (sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 58 y jurisprudencia citada).
38      En efecto, en tal situación, al formar parte la sociedad matriz y su filial de una misma unidad económica y constituir, por lo tanto, una única empresa en el sentido del artículo 81 CE, la Comisión puede, a través de una decisión, imponer multas a la sociedad matriz, sin que sea necesario demostrar la implicación personal de ésta en la infracción (véase, en este sentido, la sentencia Akzo Nobel y otros/Comisión, antes citada, apartado 59).
Obsérvese la barbaridad: se puede imponer multas a un sujeto – la matriz – que no ha cometido la infracción sin que haga falta demostrar que el sujeto ha estado implicado personalmente en la infracción. La pregunta inmediata es: ¿y a todas las demás sociedades del grupo? Me refiero, por ejemplo, a otras filiales. Si éstas constituyen una unidad económica con la filial que ha participado en el cártel, ¿porque no se hace responsables también a todas las filiales del grupo? Sigue adelante el TJ con el “caso particular” de la filial al 100 %
39      … que ha infringido las normas … de competencia, cabe afirmar, por una parte, que esa sociedad matriz puede ejercer una influencia decisiva en la conducta de su filial y, por otra, que existe la presunción iuris tantum de que dicha sociedad matriz ejerce efectivamente tal influencia….
Fíjense que no son dos presunciones contra reo. La primera es una constatación: que alguien que ostenta el 100 % del capital de una sociedad puede influir en la conducta de los órganos de ésta. La segunda es una presunción contra reo insuficientemente justificada. Es aquí donde se ve la escasa calidad del razonamiento dogmático del Tribunal de Justicia (del razonamiento económico hablamos en otra ocasión). En efecto, si la segunda presunción significa algo distinto de la primera (que puede influir y que influye) y de ella pretende extraerse la legítima imputación de la matriz por la conducta de la filial, falta un paso en el razonamiento, porque que se pueda presumir que la sociedad matriz influye efectiva y generalmente en el comportamiento de sus filiales al 100 % no permite deducir sin más prueba que, en relación con la participación en un cártel por la filial y sin que haya más signos externos de la implicación de la matriz, la matriz participó en el cartel. Que es lo que debería probar la Comisión Europea para poder imponer la multa a la matriz. Porque la multa se impone a la matriz porque participó en el cártel (principio de personalidad), no por ser la sociedad matriz.
Con ello, la barbaridad está consumada
40      …  Consecuentemente, la Comisión puede considerar que la sociedad matriz es responsable solidaria del pago de la multa impuesta a su filial,
Bueno, no es tal barbaridad – dice el TJ – porque es una presunción iuris tantum. Mejor, una alteración de la carga de la prueba.
a no ser que dicha sociedad matriz, a la que incumbe desvirtuar dicha presunción, aporte suficientes elementos probatorios que demuestren que su filial se conduce de manera autónoma en el mercado
¿Qué es lo que tiene que demostrar la matriz? ¿Que ella no participó en el cártel? ¿Que la filial – el consejero-delegado, el director de ventas… – actuó autónomamente y sin consultar con la matriz en relación con el cártel? Desgraciadamente, no. Porque aunque el párrafo que acabamos de transcribir es ambiguo, inmediatamente, el Tribunal de Justicia admite que se trata de una probatio diabolica.
Ya hemos dicho en otras entradas que el Tribunal de Justicia tiene pocos privatistas de nivel en su seno. Pero este razonamiento revela una ignorancia notable acerca de los grupos de sociedades. Estos se definen, normalmente, como un conjunto de sociedades que actúan bajo una unidad económica, es decir, que tienen centralizadas determinadas políticas, normalmente y como mínimo, la financiera pero, a veces, la comercial, la de recursos humanos, la de provisión de insumos etc. Es decir, que hay grupos más centralizados y grupos menos centralizados. En función del grado de centralización, la matriz determina las decisiones de la filial en más o menos ámbitos. Un cierto grado de autonomía de la filial existe prácticamente siempre, sobre todo, cuando se trata de filiales que desarrollan un determinado objeto social o que están activas en un ámbito geográfico específico.
En consecuencia, lo que la matriz debería demostrar no es que no influye en las decisiones de la filial. Eso sería contradictorio con el propio hecho de formar un grupo de sociedades. Los grupos de sociedades se caracterizan porque varias sociedades se someten a una dirección económica unitaria más o menos intensa. Lo que debería demostrar es que no influyó en la decisión de la filial de participar en el cártel  o, si se quiere, no tomó las medidas adecuadas para impedir (culpa in vigilando) que la filial participara en el cártel. No es eso lo que dice el Tribunal de Justicia que debe probar la matriz
  51      En efecto, de la jurisprudencia del Tribunal de Justicia se desprende que, para desvirtuar la presunción de que una sociedad matriz que posee el 100 % del capital de su filial ejerce efectivamente una influencia decisiva en la conducta de ésta, incumbe a dicha sociedad matriz someter a la apreciación del juez de la Unión todo elemento relativo a los vínculos organizativos, económicos y jurídicos existentes entre ella y su filial que puedan demostrar que no integran una única entidad económica...
Obsérvese lo ridículo de la afirmación del TJ: ¡está pidiendo a la matriz de un grupo que demuestre que su filial al 100 % no forma parte de su grupo! Y el próximo párrafo
      52. esta presunción no se traduce en una atribución automática de responsabilidad a la sociedad matriz que posee la totalidad del capital social de su filial, lo cual sería contrario al principio de responsabilidad personal sobre el que se asienta el Derecho de la competencia de la Unión
          Yet in the sort of intellectual somersault for which European competition law has become notorious, the Court declared that its ruling would not undermine businesses' rights of defense. That's because, according to the Court, "the rights of the defence is a fundamental principle of European Union law," enshrined both in case law and in the Charter of Fundamental Right of the European Union..
Lasciate ogni speranza. Por las dudas: el resto de la sentencia no altera lo expuesto hasta aquí. La matriz no consiguió refutar la presunción porque aunque demostró que no sabía nada de la participación de la filial en el cártel le resultaba imposible, como hemos dicho, demostrar que su filial al 100 % no formaba parte de su grupo. Es como si el Tribunal de Justicia hubiera dicho que el socio único responde de las deudas de la sociedad. En otro lugar explicaremos el desastre que es aplicar la doctrina del efecto útil a normas cuasi-penales. 

Comenzar desde 0, no desde 10

La Autoridad Francesa de la Competencia ha presentado un proyecto de comunicación sobre cálculo de multas. Un detalle interesante es que, para establecer el llamado importe base de la multa, se remite, como todas las autoridades al volumen de ventas afectado por la restricción de la competencia pero el porcentaje que se usa para determinar dicho importe va desde el 0 % del volumen de ventas hasta el 30 %. La CNC española, por el contrario, , en la Comunicación de multas establece que el importe base se determinará aplicándole al volumen de ventas afectado por la infracción entre un 10 y un 30%. Es decir, hay un porcentaje mínimo que no habrá en Francia. Por otro lado, el Proyecto de Comunicación francesa establece el porcentaje aplicable a los hard core cartels, esto es, a los repartos de mercados, fijación de precios etc. (entre 15 y 30%). En España, el porcentaje mínimo aplicable en estos casos es generalmente 20%, pues al ser siempre calificados como infracciones muy graves, la comunicación establece la posibilidad de aumentar el 10% hasta en otros diez puntos porcentuales cuando se trata de infracciones muy graves.
El modelo francés es preferible. Es muy preocupante que, ante acuerdos o prácticas calificadas como “restrictivas por el objeto”, pero que no son hard core cartels, como ocurre con intercambios de información o con acuerdos de uniformización de condiciones comerciales (aspectos del producto distintos del precio), la autoridad parta del 10 % del volumen de ventas para fijar la multa en la medida en que el art. 62.4 LDC califica indiscriminadamente como “muy graves” todas las conductas “colusorias tipificadas en el artículo 1 de la Ley que consistan en cárteles u otros acuerdos, decisiones o recomendaciones colectivas, prácticas concertadas o conscientemente paralelas entre empresas competidoras entre sí, reales o potenciales”

¿Cómo cuidar a los críos interesados en Ciencias-Tecnología-Ingeniería-Matemáticas?

De los resultados PISA, lo peor de nuestros estudiantes tiene que ver con las matemáticas. En EE.UU. se ha publicado un informe sobre qué hacer al respecto. Se rechaza la idea de obligar a todos los estudiantes a pasar cursos de STEM y se propone lo siguiente
Among the ideas in the report is placing a greater emphasis on making sure students can demonstrate skills rather than merely memorize content.  In addition, it would make sense to allow Sciences-Technology-Engineering-Maths-oriented students to spend more time in those courses and less time on other subjects.  Also, we need to make sure the resources are there beginning freshmen year so we don’t lose the kids who were STEM-inclined but instead nurture them with greater opportunities right away.
In addition, the report urges policy makers to get serious about creating entirely new institutions – STEM specialty schools – and develop the infrastructure to identify and recruit the most promising students to pursue their passions in exceptional world-class educational environments.

miércoles, 19 de enero de 2011

Unidad de mercado y proliferación legislativa

En Nada es Gratis, Jesús Fernández Villaverde, que tiene mucho desparpajo, se muestra sorprendido al saber que en España hay una Ley de Cooperativas por cada Comunidad Autónoma, además de la Ley Estatal. La sorpresa se la ha proporcionado un post en ¿Hay Derecho?. Como dice alguno de los comentaristas, el post de ¿Hay Derecho? no tiene razón.
La proliferación legislativa no genera problemas – barreras de entrada, elevación de costes – a las empresas, per se. En dos palabras, tener muchas regulaciones autonómicas en una materia es poner palos en la rueda de la actividad económica si el empresario ha de cumplir con todas (y son diferentes) u obtener 17 autorizaciones, o si no puede “elegir” el Derecho aplicable (basta con que pueda elegir entre una regulación autonómica y la estatal).
Curiosamente, otro post en el mismo blog ¿Hay Derecho? permite explicar la cuestión. En él se trata sobre la autorización de las agencias privadas de colocación me entero de que hay una discordancia entre el art. 3.1 RD con el art. 21 bis 2 de la Ley 56/2003, de 16 de diciembre, de Empleo. Según la Ley:
2. Las personas físicas o jurídicas que deseen actuar como agencias de colocación deberán obtener autorización del servicio público de empleo que se concederá de acuerdo con los requisitos que se establezcan reglamentariamente. La autorización, que será única y tendrá validez en todo el territorio español, se concederá por el Servicio Público de Empleo Estatal (SPEE) en el supuesto de que la agencia pretenda realizar su actividad en diferentes Comunidades Autónomas, o por el equivalente de la Comunidad Autónoma, en el caso de que la agencia únicamente pretenda actuar en el territorio de una Comunidad
Esta es una norma que facilita la entrada en el mercado de las Agencias privadas de colocación. Así, si el SPEE es muy pesado, solicitaré la autorización en una Comunidad Autónoma más “friendly” y luego voy abriendo oficinas en cualquier sitio ya que dispongo de autorización que “es única y tiene validez en todo el territorio español”, y mi intención, al comenzar mi actividad, era la de actuar solo en una Comunidad Autónoma. Es una norma que pone a competir a las Administraciones autorizantes por conceder autorizaciones.
Pero, según el art. 3.2 II Real Decreto 1796/2010
        En el supuesto de que una agencia autorizada para desarrollar su actividad en una o varias Comunidades Autónomas pretenda ampliar su ámbito de actuación realizando la misma desde centros que establezca en otras Comunidades Autónomas donde no los tuviera, deberá solicitar del Servicio Público de Empleo Estatal una ampliación de dicha autorización con ese fin.
Es decir, el RD está “interpretando” la Ley en contra de la libertad de empresa y de actividad. Obsérvese cómo el RD no dice que se deba solicitar una nueva autorización, sino una “ampliación” de la autorización previa. El efecto práctico, sin embargo, es el mismo: no basta con la autorización inicialmente concedida que, se supone, se concedió con “validez en todo el territorio español”. En todo caso, habrá que ver qué requisitos se exigen para obtener esta “ampliación” de la autorización.
Pero lo bueno de la norma es que refleja cómo la multiplicidad de autoridades o de legislaciones aplicables no implica, necesariamente, elevación de los costes de las empresas para operar en el mercado. Lo que sucede en España es que, muy a menudo, las múltiples autorizaciones o las múltiples regulaciones aplicables no permiten a las empresas “elegir” al regulador o la regulación más eficiente. O bien le obligan a cumplir con todos o con todas. Otra cuestión, que hemos abordado en otras entradas, es que la “presión” sobre las empresas se vuelve desmesurada y desproporcionada cuando 17 autoridades regionales tratan de “enforce” su regulación o la regulación nacional. ¡Demasiados policías!

Las empresas controladas a través de participaciones piramidales soportan un coste más elevado para financiar sus inversiones

Según este trabajo
Lin, Chen, Ma, Yue, Malatesta, Paul H. and Xuan, Yuhai, Ownership Structure and the Cost of Corporate Borrowing (March 1, 2010). Journal of Financial Economics (JFE), Forthcoming.
¿Por qué? Porque cuando el socio mayoritario lo es directamente, es decir, ostenta un 70 % o un 60 % del capital de la sociedad, si “roba” a la sociedad, se está robando a sí mismo en un 70/60 %. Pero si controla la sociedad a través de una pirámide sus incentivos para robar en la base de la pirámide se exacerban (para obtener “beneficios privados”).
Ej: Bernardo tiene el 51 % de A.SA; A tiene el 51 % de B que tiene el 51 % de C; que tiene el 51 % de D que es la sociedad cotizada. Bernardo tiene el control de D pero solo tiene un 7 % de D. Bueno, – se dirá – eso preocupará a los socios minoritarios, ¿pero a los acreedores de D? Pues sí. También los acreedores de D deben preocuparse porque esas actividades de extracción de fondos y activos de D por parte del socio de control incrementan notablemente las posibilidades de quiebra de D y pueden reducir el valor de las garantías reales aportadas por D a sus acreedores. Y a los acreedores no les preocupa mucho que los que controlan D no maximicen el valor de D – eso les preocupa a los socios minoritarios – pero les preocupa muchísimo que se incremente el riesgo de quiebra de D y, por tanto de que no puedan recuperar sus créditos. Es más, el accionista de control puede tener incentivos para hacer que D emprenda proyectos de alto riesgo. ¿Por qué? Porque si salen bien, el accionista mayoritario puede embolsarse buena parte de los beneficios (su parte proporcional como accionista de D y los que consiga desviar hacia A) mientras que solo sufre las pérdidas, si sale mal, en la medida de la pérdida de valor de su participación en D.
Estos autores, analizando los créditos pedidos por varios miles de empresas y poniendo en relación los intereses que pagan con el carácter más o menos directo del control por parte de sus accionistas concluyen que
“the cost of debt financing is significantly higher at companies with a wider divergence between the largest owner’s control rights and cash-flow rights”

martes, 18 de enero de 2011

Cómo favorecer las vocaciones científicas

image
http://thedailywh.at/post/2765078826/smbc vía Barcepundit

Huerta de Soto da la Hayek Lecture en la LSE: sobre la reserva fraccionaria y la crisis

Fascinante. Queda claro a cualquiera que siga este blog que los temas de diseño institucional – de las organizaciones – es, junto con la libertad contractual, el tema de mayor interés, en mi modesta opinión, para los juristas que pretendemos ser algo más que exégetas. Del diseño del sistema financiero ya hemos hecho una entrada.
Pues bien, Huerta de Soto, dice en su Hayek Lecture que
it is crystal clear that the world monetary and banking system has chronically suffered from wrong institutional design at least  since Peel’s Bank Act of 1844
1. La causa de los ciclos económicos es haber permitido las reservas fraccionarias a los bancos. Los bancos empezaron emitiendo papelitos – billetes – que no estaban respaldados por fondos reales o activos en su balance. Se lo prohibieron pero no les prohibieron ofrecer depósitos a la vista, esto es, tomar dinero del público prometiendo a los depositantes la devolución a primera demanda (eso es lo que distingue una entidad de depósito de otras entidades financieras). Con ello, los bancos pudieron crear dinero en cantidades industriales ya que prestaban el dinero depositado a los que lo demandaban – prestatarios – que, a su vez, podían depositar el importe del préstamo en otro banco que, contra ese depósito, volvería a prestarlo etc…
2. O sea, que en nuestras economías modernas, la inversión no se financia con el ahorro de verdad (eso es lo que dice la capital theory) sino con “aire”.  El 90 por ciento de la oferta de dinero es “dinero virtual que solo existe como asientos en los libros de contabilidad de los bancos" chirographis pecuniarum en la terminología de la escolástica.
3. Los efectos son brutales: los nuevos proyectos de inversión – por muy demenciales que sean – encuentran financiación y ésta no procede del ahorro – de un aplazamiento del consumo por parte - de los consumidores por lo que no se reduce la demanda de los bienes de consumo en proporción razonable con el incremento de la demanda de bienes de capital que la financiación de esos proyectos de inversión genera. O sea, burbujas en el precio de los activos y bienes de capital.
4. La cuestión es, solo, ¿cuánto dura la fiesta? Hasta que los bancos se dan cuenta que el valor de mercado verdadero de sus créditos – otorgados durante el boom – es muy inferior al que pensaban. Como sus deudas siguen siendo las mismas, el mercado se da cuenta de que los bancos están en quiebra. Esta es la crisis financiera. Luego viene la recesión que se produce cuando el mercado se da cuenta que muchos proyectos de inversión emprendidos durante el boom no valen nada y los inversores – accionistas – los ponen en venta lo que afecta sobre todo a los proyectos a largo plazo).
5. La del 2008 ha sido una crisis que ha tenido de especial que la expansión del crédito ha sido sin precedentes. Y gracias a que la productividad (innovaciones + China e India) ha crecido mucho. Pero si no hubiera sido por la fantástica expansión del crédito hubiéramos asistido a una reducción nominal del precio de muchos bienes y, en menor grado, de los servicios, lo que hubiera supuesto deflación - “sana deflación” (Bernake teme la deflación post-fiesta, porque ahora todos los participantes están muy endeudados y la deflación no afecta al valor de sus deudas).
6. El caso español es especialmente paradigmático: la burbuja se creó por la expansión artificial del crédito: dinero barato, ergo, cualquier proyecto de inversión encontraba financiación, ergo, la demanda de vivienda en España crecía, ergo, el dinero se dirigía ahí etc. A lo que hay que sumar los incentivos perversos de los banqueros (se comportaron, especialmente las cajas, como un rebaño en busca del incremento de tamaño y de los bonus y salarios de sus directivos como el que se iba al casino, ya que el dinero no era suyo)
7. Las reglas contables han sido procíclicas: valor de mercado de los activos: ¡el de la burbuja! Esto es interesante, porque parece reivindicar la vuelta a las antiguas – alemanas – reglas de la contabilidad, es decir, volver a decir que los destinatarios de la información no son los accionistas de las compañías – y el mercado de valores – sino los acreedores
the purpose of accounting is to permit the prudent management of each company (esto solo puede querer decir, “en beneficio de los acreedores”) and to prevent capital consumption, as Hayek already established as early as 1934 in his article “The Maintenance of Capital” (Hayek 1934). This requires the application of strict standards of accounting conservatism (based on the prudence principle and the recording of either historical cost or market value, whichever is lower), standards which ensure at all times that distributable profits come from a safe surplus which can be distributed without in any way endangering the future viability and capitalization of each company
Para los que vean en esto una apología de la doctrina del capital social, deberían relajarse porque no tiene mucho que ver.
Caveat. Conviene leer los comentarios. El problema surge cuando, a las reservas fraccionarias se les une la “garantía del Estado” – el fondo de garantía de depósitos (FGD) más la seguridad de que el Estado no dejará quebrar un banco. El primero, afecta a los incentivos de los depositantes. Los que depositan su dinero en un banco – precisamente por la existencia del fondo de garantía , no tienen incentivos para controlar a los banqueros. La segunda, convierte en vagos a los que compran bonos o deuda emitida por los bancos. Si no hubiera fondo de garantía ni garantía implícita del Estado, los depositantes sólo dejarían su dinero a quienes pudieran garantizar un manejo muy prudente de la reserva fraccionaria y los inversores no prestarían a bancos poco escrupulosos. Por eso surgieron las Cajas de Ahorro: porque la gente no se fiaba, en España, de los banqueros en el siglo XIX. Y por eso los sistemas bancarios son tan pequeños en los países en desarrollo. Pero el FGD y la garantía implícita del Estado hacen que el mercado no funcione correctamente y que pasen las cosas que dice Huerta de Soto. Pero el pecado original no es la reserva fraccionaria, sino el “monitoreo” o control de la conducta de los bancos que, nuestro sistema, desplaza desde los acreedores de los bancos al Banco Central. Y, como también dice Huerta de Soto, es un desplazamiento “socialista”.

La mayoría quiere trabajar más y ganar más

Tras la aprobación de la propuesta de Fiat a sus trabajadores de Turín de invertir en la planta a cambio de que trabajen más, se controle el abstencionismo y las bajas por enfermedad y se reduzcan los descansos amén de una mayor flexibilidad en el horario (en contra de la posición del sindicato mayoritario del metal en Italia), se plantean los economistas qué efectos puede tener la extensión de este modelo al resto de las empresas.
As the bargaining power of workers falls, so does the real wage. In turn, this makes it more convenient to the firm to recruit new workers. Thus in the short term, employment grows and real wages fall. In the second step, Fiat invests in the plant and this raises the productivity of labour. The demand for labour by the company increases and these results in a higher employment and wages.
… This logic suggests that it is reasonable to believe that the new Fiat contract – if it were extended more widely – will lead to a rise in employment in both the short and medium term. However, the deterioration in the bargaining position of workers should lead to a temporary fall in the real wage
Otro aspecto interesante tiene que ver con los “costes de agencia” que sufren los trabajadores porque los sindicatos persiguen sus propios intereses – como cualquier agente – que no tienen por qué coincidir exactamente con los de los trabajadores a los que representan. Si la mayoría de los trabajadores “cumple” (no se pide bajas injustificadamente ni las alarga más de lo imprescindible, no extiende sus tiempos de descanso y está dispuesto a ser flexible en su horario de trabajo), estará dispuesto a votar que sí a una propuesta que, a cambio de algo que está dispuesto a dar “gratis”, incrementa la seguridad a largo plazo de su puesto de trabajo y aumenta la probabilidad de un incremento de su salario.


RUIZ SOROA, de nuevo, excelente

En EL PAIS, hoy:
¿Por qué no pensar el final del terrorismo como un proceso largo, confuso y sucio, carente de momentos estelares y de comunicados determinantes?  Un proceso en el que es el Estado de derecho el protagonista único, y ETA la materia inerte sobre la que caen sus golpes. Un proceso que no busca reintegrar a nadie a la democracia porque la democracia se siente… superior… (y)… no se siente incompleta ni defectiva porque falten algunos… sino… cualitativamente superior precisamente porque les excluye…”
Por dos razones, al menos. La primera: los políticos están interesados en poner fecha al fin de ETA para apuntarse el tanto. La segunda, porque la transición española se hizo para integrar en la democracia a todos los que estaban fuera (a la derecha y a la izquierda, centralistas, nacionalistas e independentistas) y la manera de razonar al respecto (hay que hacer “esfuerzos” para que todos se sientan cómodos bajo del sistema democrático-autonómico) y, por tanto, también había que integrar a los de ETA.

lunes, 17 de enero de 2011

Competencia, Estado Social e integración de los mercados según Almunia

Almunia ha dado un discurso en Lisboa el pasado día 14. Del mismo me llaman la atención dos cosas.
La primera es que, como buen sureuropeo, cree que tiene que defender el Derecho de la Competencia frente a las acusaciones (¿de quién?) de que la competencia y el Estado social son difíciles de hacer compatibles. Es triste.
Competition policy, contrary to what some think, is not about neo-liberalism or the jungle. Its purpose is completely different and positive. Competition policy in Europe is about encouraging entrepreneurship and innovation, the creation of jobs and the placing in the market of innovative products and services that bring choice and competitive prices for the consumer.
Es triste porque el ejemplo que pone el servicio universal de “banda ancha”. En esa materia, dice Almunia, su Dirección General ha “garantizado” el acceso universal permitiendo que los Estados concedan ayudas públicas para extender la banda ancha a todo su territorio. Es un poco fuerte. Si esa es la forma en la que la “política de competencia incentiva a los emprendedores, la innovación, la creación de puestos de trabajo y la puesta en el mercado de productos innovadores”, es una aportación muy modesta.
Pero más discutible es que la política de competencia de la Unión Europea haya hecho mucho por el mercado común. Lo que ha contribuido a crear un mercado único ha sido la eliminación de las barreras públicas (aranceles y medidas equivalentes) y la aplicación directa de las libertades del tratado (libre circulación de mercancías, personas, capitales y libertad de establecimiento). La política de competencia, precisamente por haberse puesto al servicio de la integración de los mercados (“impedir que se eleven barreras privadas cuando hemos desmontado las barreras públicas” decía el Tribunal de Justicia) ha contribuido a mantener a los empresarios en su país de origen (es un contrafactual, lo reconozco). El Derecho de la Competencia no está para eso. Es verdad que “we can sanction cartels … that partition markets along geographic borders” Pero “We also tackle commercial restrictions that have the effect of preventing intra-EU trade”. ¿Seguimos sin enterarnos de que no permitir a las empresas que distribuyan sus productos como les dé la gana tiene, por fuerza, que distorsionar el funcionamiento del mercado?

jueves, 13 de enero de 2011

Creado el Jesus Alfaro Diario

Gracias a Kartellblog, he creado el Jesus Alfaro Diario que presenta en forma de una página web todos los mensajes de twitter míos y de aquellos a los que sigo. El aspecto es fantástico. A la derecha se ve el link.

miércoles, 12 de enero de 2011

Unlimited Jurisdiction over Fines or Unlimited Jurisdiction over Decisions Imposing Fines?

Esta es una cuestión que me tiene perplejo.
As is well known, there are two types of judicial review in competition cases: that based on Article 230 EC (ahora 263), which involves a “restricted review” based on defined grounds; and that based on Article 229 EC,(ahora 261) which gives the European Council by itself, or with the European Parliament, the power to adopt regulations giving the European Courts unlimited jurisdiction over fines or, as it is sometimes called, a “full review” power. This has been done through Article 31 of Council Regulation 1/2003 for general competition law and Article 16 of Council Regulation 139/2004 for merger control.
La distinción tiene sentido si entendemos “unlimited jurisdiction over fines” como “over decisions imposing fines” para indicar que el control de los tribunales comunitarios de las Decisiones de la Comisión Europea es un control de legalidad cuando se trata de decisiones administrativas en las que un órgano del Tratado – la Comisión – ejerce sus funciones “constitucionales” y, por tanto, pone en práctica una policy
when the implementation by the council of the agricultural policy of the community involves the need to evaluate a complex economic situation , the discretion which it has does not apply exclusively to the nature and scope of the measures to be taken but also to some extent to the finding of the basic facts inasmuch as , in particular , it is open to the council to rely if necessary on general findings . in reviewing the
exercise of such a power the court must confine itself to examining whether it contains a manifest error or constitutes a misuse of power or whether the authority in question did not clearly exceed the bounds of its discretion” (Case 138/79, Roquette, par. 25).
Pero la Comisión no pone en práctica la “competition policy” cuando actúa imponiendo penas (las multas que se aplican a los cárteles y a los que abusan de una posición de dominio se consideran ya, generalizadamente, como penas). En estos casos, las garantías propias del procedimiento penal (o, al menos, del administrativo sancionador) y el respeto de todos los principios propios del Derecho Penal deben ser asegurados por la revisión judicial de la decisión administrativa: principio de legalidad, tipicidad, no retroactividad, audiencia, contradicción, imparcialidad etc.

Actualización: Article 31 of Regulation 1/2003 provides that ‘the Court of Justice shall have unlimited jurisdiction to review decisions whereby the Commission has fixed a fine or periodic penalty payment

Pues bien, no entiendo cómo puede haber alguna duda respecto a que, todos los procedimientos sancionadores incoados y resueltos por la Comisión Europea con imposición de multas deben ser objeto de revisión judicial ilimitada en todos sus aspectos, no solo en relación con la cuantía de las multas y, por tanto, que los jueces de Luxemburgo no puede tener deferencia alguna con la Comisión cuando ésta realiza “complejas valoraciones económicas” o “técnicas” si esas valoraciones son las que conducen a que se considere que ha existido un cártel o una restricción de la competencia o un abuso de posición dominante y, por tanto, que procede la multa (pero v., los casos 42/84, Remia; 142-156/84, BAT; T-395/94, Atlantic Container)
Si los norteamericanos consiguen que los jurados entiendan las complejas cuestiones técnicas o económicas que puedan existir en un procedimiento, los jueces tienen que ser capaces de descifrar y volver a montar las valoraciones técnicas o económicas de la Comisión y decidir si justifican la aplicación de consecuencias jurídicas tan brutales como multas de 500 millones de euros. Y no deberíamos interpretar el art. 229 TFUE de forma que tengamos un conflicto con el Tribunal Europeo de Derechos Humanos.
Por cierto, la revisión de las decisiones en materia de control de concentraciones es algo distinta porque no es Derecho sancionador pero no cabe duda de que prohibir a una empresa que compre otra es una restricción de un derecho fundamental, de manera que la Decisión correspondiente de la Comisión Europea es una decisión que limita derechos fundamentales y debe ser revisada.
Algún autor ha propuesto considerar que el margen de apreciación de la Comisión en las autorizaciones de operaciones de concentración se refiere a la selección de la teoría del daño que causa la concentración a la competencia y las conclusiones que se deduzcan de tal teoría. Es decir, que el Tribunal de Justicia o el Tribunal General no deberían discutir la teoría económica aplicada por la Comisión, de la que solo dirán si son razonables las consecuencias que de ella se deduzcan.
No veo por qué. Si la teoría económica que “sigue” la Comisión es “mala”, en el sentido de que está refutada por la “evidencia empírica” (por ejemplo, que los mercados del transporte aéreo deben delimitarse punto a punto) los jueces deberían corregirla, como hace el Tribunal Supremo americano. Y si la Comisión deduce de una mala teoría que la fusión que se examina puede impedir significativamente la competencia o crear o reforzar una posición de dominio, los jueces deben anular la Decisión si hay una teoría económica “mejor” que conduce a la conclusión contraria. Porque la Comisión no está puesta por el Tratado para aplicar teorías económicas. Cuestión distinta es que los jueces no puedan determinar si es una “mala” teoría o si los remedies aceptados por la Comisión no resuelven los problemas de competencia detectados. En tal caso, no podrán, lógicamente, anular la Decisión.
Un análisis bastante equilibrado se encuentra en este trabajo de Schweitzer que demuestra cómo los Derechos nacionales (singularmente, el alemán y el británico) son mucho más respetuosos, en este punto, con los derechos de los particulares que el Derecho Europeo.

Si me lo explican, lo entiendo: “cuando se tiene un 10 % de cuota de mercado, se tiene un 10 % de poder de mercado”

De acuerdo con un RD Ley – el 6/2000- se califica como dominantes a todas las empresas del sector energético que tengan más de un 10 % de cuota de mercado. Corresponde a la CNE hacer un “listado” anual de las empresas que se consideran dominantes en cada mercado energético.
Eso es una barbaridad si se entiende “dominante” en el sentido del Derecho de la Competencia porque es obvio que no puede ser dominante quien tiene un 12 % de cuota de mercado. O sea, que tenemos dos conceptos de "empresa dominante”. El del Derecho de la Competencia y el de la legislación energética.
El problema es que, de acuerdo con el art. 13.7 de la Ley 54/1997, las empresas declaradas dominantes (en el sentido de la legislación energética) no pueden importar electricidad. Y, las empresas afectadas, se quejan e impugnan la declaración por la CNE de las empresas dominantes pidiendo al Tribunal – la Audiencia Nacional – que plantee cuestión de inconstitucionalidad contra la norma legal (por limitar injustificadamente la libertad de empresa de aquellas que, no siendo dominantes en el sentido del Derecho de la Competencia, ven limitada su actividad) y que, además, la considere contraria al Derecho Europeo, en concreto, contraria al Reglamento relativo a las condiciones de acceso a la red para el comercio transfronterizo de electricidad
Y la Sentencia de la Audiencia Nacional de 16 de diciembre de 2010 (Sección 1ª) ha desestimado uno de los recursos. No hemos encontrado ni un solo argumento de fondo que justifique por qué no era procedente el planteamiento de la cuestión de constitucionalidad ante el TC o de la cuestión prejudicial ante el Tribunal de Justicia (si la Sección tenía dudas sobre la contrariedad al Derecho Europeo). Pero hemos encontrado esa típica forma de no argumentar que consiste en reproducir afirmaciones abstractas sobre que los derechos son limitados , que el sector eléctrico es un sector regulado o que las leyes tratan de proteger a los consumidores para añadir, a continuación, un “por lo tanto” y desestimar la pretensión.
Reproduzco dos párrafos
En el caso de autos carece de fundamento la vulneración de la libertad de empresa en la que insiste la demanda y ello pues no se han detallado infracción de precepto alguno” (si lo que se alega es infracción de la libertad de empresa ¿se desestima porque no se ha citado el art. 38 CE?) y la exposición de motivos (del RD-Ley suponemos que se refiere a este paso “se introducen modificaciones al concepto de operador principal… además de introducir la figura del operador dominante… con el objetivo de establecer determinadas obligaciones regulatorias que faciliten el desarrollo de una competencia efectiva en estos mercados”)justifica sobradamente las limitaciones que se establecen además, en un sector tan controvertido y de tanta trascendencia como es el energético lo que justifica ampliamente las limitaciones que se establecen en relación a las empresas que reúnen la condición de dominantes
¿Algún argumento? No. Simplemente, como decíamos, que como es un sector regulado, el legislador puede hacer lo que le pete. De manera que el Sr. Magistrado solo necesita – para desestimar la demanda - un “por lo tanto”
Y aquí está
…..“A la vista de todas las consideraciones precedentes, no resulta procedente la formulación de una cuestión de inconstitucionalidad… al no advertirse vulneración alguna de los principios de interdicción de la arbitrariedad, de igualdad, de seguridad jurídica y de libertad de empresa”.
Pero ni él mismo se lo cree y considera necesario (no) argumentar un poco más
puesto que ha quedado acreditado cómo (la tilde la hemos añadido nosotros) está justificado el marco jurídico cuestionado y del tratamiento indiferenciado que consagra (sic), así como sobre la naturaleza regulatoria del mercado atendido (sic) y de las medidas que en él se adoptan”
Una vez dijo un magistrado de lo contencioso del Tribunal Supremo que las cosas de competencia no eran tan difíciles. Que si a él se las explicaban, él las entendía. Pues bien, esta Sentencia demuestra que el Juez de la Audiencia Nacional que la ha dictado no entiende lo que es tener posición de dominio en un mercado o ser dominante. Fíjense lo que dice como colofón (entremedias, el Magistrado ha reproducido trozos de otra sentencia en las que se dicen vulgaridades acerca de la libre circulación de mercancías o de que el Derecho europeo trata de garantizar la libre competencia en el mercado común y en el sector energético etc).
Insiste la parte recurrente en que solo se toma en consideración el 10 % de cuota de cuota de mercado pero que no se tiene en cuenta “la capacidad para ejercer el poder de mercado”.
Obsérvese lo razonable de la demanda: se dice que no puede calificarse a una empresa como dominante y limitar su libertad de actuación en el mercado simplemente porque tenga una cuota del 10 %, que lo relevante es “la capacidad para ejercer el poder de mercado”. Algo elemental para cualquiera que haya leído una sola línea de cualquier trabajo sobre Derecho de la Competencia. Pues bien, el Magistrado no se arredra:
No obstante, debe señalarse que una cosa conlleva la otra: cuando se tiene un 10 % de cuota de mercado, se tiene un 10 % de poder de mercado”
Y ya entra en bucle y dice lo siguiente
Evidentemente (sic, evidentemente) la exigencia de que la posición dominante se refiera a un porcentaje del 10 o del 50 % no es una cuestión que pueda decidir esta Sala, sobre todo, cuando no existe precepto legal (ni interno ni comunitario) del que deducir una u otra cuestión 
Ya lo ven, no hay forma de determinar si una empresa tiene posición de dominio
“obviamente (sic, obviamente) no es igual la consideración de posición dominante en relación al mantenimiento de la competencia que en relación al mercado energético por lo que no es posible aplicar los mismos porcentajes en relación a una y otra cuestión, que es lo que pretende la parte recurrente”
La parte recurrente pretende que el Ordenamiento se aplique de forma coherente. Es lo único que nos queda a los juristas: ser coherentes. Si se justifica una limitación a la libertad de actuación de una empresa – importar – porque tiene posición de dominio en el mercado y, por tanto, podría excluir a otros del acceso a esa energía importada, la prohibición de importar es desproporcionada si se impone a cualquier empresa que tenga más de un 10 % de cuota de mercado porque una empresa que tenga el 12 % de cuota de mercado no puede excluir a otras acaparando la energía importada. Sería razonable, precisamente, que una norma reguladora del mercado energético limite las posibilidades de importar de una empresa dominante en el sentido del Derecho de la Competencia porque, por definición, estas son las que, dada su posición en el mercado, están en condiciones de impedir el acceso a éste a otras empresas. En consecuencia, constituye una restricción desproporcionada de la libertad de empresa – e infringe el art. 38 CE lo que justifica el planteamiento de la cuestión de inconstitucionalidad – prohibir importar electricidad a todas las empresas  que tengan más de un 10 % de cuota de mercado sin tener en cuenta su poder de mercado. Dado que la Audiencia Nacional no puede declarar inconstitucional una Ley, tiene que plantear la cuestión de constitucionalidad, que es lo que pedía el recurrente.
Traca final. La recurrente adujo un documento de la European Federation of Energy Traders para tratar de convencer al Juez de que la prohibición de importar era contraria al Derecho europeo por limitar la libre circulación de mercancías sin que la alegación de razones de competencia constituyera una justificación suficiente, no ya por desproporcionada (hubiera bastado con prohibir la importación a empresas consideradas dominantes de acuerdo con los criterios del Derecho de la Competencia) sino por inadecuada para el fin pretendido. Esto es, porque prohibir a la práctica totalidad de las grandes empresas importar electricidad tenía como efecto una reducción de la competencia en España, no una intensificación de la competencia. Y el Magistrado responde como sigue
un documento… que ni aporta ni puede tener el efecto pretendido por la propia parte recurrente de anular una disposición con rango normativo de Ley”
Con el debido – sólo el debido – respeto, esta frase es un insulto para la recurrente. No puede el Magistrado pensar que la recurrente es tan ignorante como para desconocer que una norma con rango de Ley solo puede ser anulada por el Tribunal Constitucional u otra norma con rango de Ley, en cuyo caso se habla de derogación.
En fin, que la próxima vez que me digan que “si me lo explican, yo lo entiendo” tendré que mostrarme más escéptico.

¿Nulidad de contrato por haber sobornado al presidente del país que lo otorgó?

…….a 2006 international arbitration dispute involved a two million dollar cash bribe paid to Daniel Arap Moi, then President of Kenya. No one disputed the bribe, but the firm claimed that it was respecting the local East African custom of harambee and that gifts of this type were “fashionable” in Kenya. The Kenyan government, now under different leadership, contended that because of the bribe, no valid contract existed, implying that it was not guilty of breach. The arbitration tribunal sided with Kenya. The tribunal did, however, require the parties to split the tribunal’s costs and to bear the costs of their own lawyers. World Duty Free Co. v. Republic of Kenya, ICSID Case No.
ARB/00/7, ¶ 190-91 (Oct. 4, 2006).
Susan Rose-Ackerman, Corruption: Greed, Culture, and the State, 120 Yale L.J. Online 125 (2010)
Y que hay de turpitudinem suam allegans non audiatur? Quizá se considere que era de aplicación el art. 1.305 o 1306 CC, esto es, que no fuera delito la conducta o que no hubiera un derecho penal nacional aplicable y, por tanto, in pari causa turpitudinis, melior est conditio possidentis, de manera que la empresa no podía exigir el cumplimiento del contrato ni Kenia el pago del precio, naturalmente.

Carlton y el more economic approach

Carlton es uno de los más lúcidos economistas que se han ocupado del Derecho de la Competencia. En este breve paper, de 2007, aborda algunos temas cen-trales (Dennis W., Does Antitrust Need to be Modernized? (January 2007). Economic Analysis Group Discussion Paper No. 07-3. Algunas anotaciones al margen:
Es el bienestar general lo que hay maximizar.
Los que afirman que hay que maximizar el bienestar de los consumidores se equivocan porque entonces tendrían que considerar legítimos los cárteles entre compradores (el daño que sufran los vendedores sería irrelevante)
A proponent of the consumer surplus objective for antitrust commits at least two logical errors. First, if only consumers matter, then a buying cartel should be perfectly legal and indeed should be encouraged. Monopsony harm would not matter at all in antitrust cases because the fact that sellers are harmed is irrelevant under a consumer surplus standard. Second, the notion that antitrust should focus on consumers, not firms, is premised on a false vision of who are consumers and who are firms. Most transactions in our economy are between firms. Firms are typically both the consumers and the sellers. The image of antitrust protecting innocent individuals from evil corporate empires is misleading (though sometimes effective). Moreover, firms are owned by shareholders, so profits do flow back to consumers
No hay que distinguir entre grupos de consumidores
O sea, si una fusión beneficia a los consumidores – los usuarios del transporte aéreo - , aunque perjudique a algún grupo – los dublineses – no debe prohibirse salvo que queramos autorizar solo las fusiones que supongan mejoras de Pareto (recuérdese Ryanair/Aer Lingus)
However, even if one uses consumer surplus as the objective, I think it is generally a mistake to distinguish amongst groups of consumers. Every act of a firm likely harms some consumers and benefits others. Consider an airline merger that will lead to a very efficient route structure but will also result in less service to some remote city. Most passengers are benefited, a few are hurt. Even if one is concerned only with consumers, it is not sensible to stop such mergers if the benefits outweigh the harm. Otherwise, every merger could be stopped if only one customer is harmed.
El abuso de posición dominante y la persecución del resto de las infracciones – acuerdos verticales - debería dejarse al private enforcement.
Bueno, él no dice exactamente eso:
“Remedies for anticompetitive exclusionary conduct can be hard to fa-shion, as the Microsoft case illustrates. The difficulty of devising effective remedies does not necessarily mean the government should refrain from prosecuting such matters, because a liability finding likely would trigger private actions in which monetary damages could be awarded”
Pero si hay un ámbito en el que está justificado promover las private claims en el ámbito del Derecho de la Competencia es el abuso de posición dominante por medio de actos excluyentes (porque los excluidos tienen incentivos para demandar y la información es pública o se puede obtener con más facilidad que la que revele un cártel).
Siguiendo esta lógica, si la finalidad de las multas es disuasoria, deberían imponerse sólo donde no quepa esperar que las demandas privadas – de los perjudicados por los acuerdos o las conductas – florezcan y garanticen la internalización por el dominante de los efectos de su conducta, de modo que la imposición de multas sólo está justificada para los cárteles
Under the Sherman Act, antitrust damage equals treble the overcha-rge, regardless of whether the anticompetitive act is overt or not. For example, cartel activity is typically covert. A multiple of 3 is appropriate if we detect cartels only 1/3 of the time… In contrast, a firm’s decision to employ exclusive territories, or to use bundled discounts, to tie its product to others, or to lower its price are all actions observable in the marketplace. Absent litigation costs and legal error, there is no justification for treble damages in those situations since the acts are observable to all and single damages (including lost surplus) are optimal. This suggests the possibility that at least for overt acts the current damage system over-deters by inefficiently penalizing acts that raise total surplus. There is an obvious financial incentive for plaintiffs to fashion claims as antitrust actions in order to obtain treble damages when only single damages are otherwise available. For example, contract disputes such as those between franchisee and franchisors are often brought as antitrust suits precisely to obtain treble damages.
Definición del mercado relevante
No se puede resumir la cuestión en menos palabras: la cuestión es qué constricciones competitivas soportan las empresas que se fusionan o la que es acusada de abuso de posición dominante y qué pasa con la demanda cuando sube los precios
In the absence of the antitrust laws, economists would spend much less time discussing what the denominator of a market share should include. Instead, they would try to econometrically estimate demand systems to get a sense of substitution patterns amongst different products and then use that knowledge to estimate the effect of either a merger or some questioned business practice. Market shares… are based on the correct intuition that with lots of roughly similar firms competing, market power should not be a serious concern, where market power presumably means some ability to price so far above the competitive level (usually taken to be marginal cost) that it raises policy concerns.
Y, especialmente en los casos de abuso de posición dominante
The defendant can avoid trial by convincing the court that he has no market power. The economist probably would prefer to inquire whether the alleged misbehavior had an anticompetitive effect and, if it could (or did) not, the economist would explain why that finding should trigger dismissal of the case.

Archivo del blog